Si chiama “Giustizia riparativa” ed è un programma il cui obiettivo è il raggiungimento di un esito riparativo, ovvero un accordo finalizzato alla riparazione dell’offesa, idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco – inteso come riconoscimento della vittima e responsabilizzazione del soggetto indicato come reo – nonché la possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti.
L’esito riparativo può essere sia simbolico (come ad esempio delle scuse formali) o materiale (come ad esempio un risarcimento del danno).
L’iter è contemplato dalla legge Cartabia: non si cerca di ottenere la punizione dell’autore del reato ma piuttosto di risanare quel legame con la società, spezzato dal fatto criminoso.
Si instaura così un contatto diretto tra offeso e offensore, il quale permette al primo di esprimere i propri sentimenti ed emozioni in relazione alla lesione subita, e al secondo di responsabilizzarsi. Una sorta di ponte tra le vittime e i colpevoli.
Omicidio Stucchi e la lettera per la giustizia riparativa
È quanto si sono visti proporre dal tribunale dei minori di Milano la mamma, il papà e la sorella di Simone Stucchi, di Vimercate, barbaramente ucciso a coltellate la sera del 29 settembre di tre anni fa, a Pessano con Bornago, a soli 22 anni. Un dolore che nessuno e nulla potrà mai alleviare. Una pena che quotidianamente appare in tutta la sua crudezza e che non puoi esimerti dal pagare caramente sulla tua pelle. È il dolore di una madre, di un padre e di una sorella che hanno sempre vivo il ricordo del loro Simone.
«Ci è arrivata questa lettera, una normalissima lettera, con la quale ci si chiedeva di partecipare a questo programma – ci dice Daniela, la mamma di Simone – . Ho chiamato il numero di telefono indicato per capire di cosa si trattasse: in pratica, secondo me, per tentare di recuperare chi è in carcere e non certo per le vittime, anche se il programma dice chiaramente “anche per le vittime”. E fra le varie fasi ci sarebbe anche quella di incontrare gli assassini di Simone – dice ancora con un tono secco Daniela Stucchi –. Una cosa della quale non vogliamo neanche sentir parlare. Capirei se avessimo avuto giustizia, se questi fossero finiti veramente in carcere per quello che hanno fatto… Di fronte, ad esempio a una condanna all’ergastolo, non lo so, forse ne avremmo potuto discutere. Ma in questo caso, visto che fra un paio d’anni se tutto va bene saranno fuori…».
Omicidio Stucchi, i genitori: «Non abbiamo avuto nessun supporto morale»
Di primo acchito i genitori si sono sentiti confusi, di fronte alla proposta. «Francamente non riuscivamo a capire di cosa si trattasse. Poi ci siamo informati e ci è stato spiegato che questa iniziativa poteva comprendere anche una sorta di terapia psicologica per noi, un programma certamente apprezzabile. Ma per quanto riguarda noi ci viene proposta questa “giustizia riparativa” dopo tre anni? Francamente ci siamo riparati da soli per quel poco che siamo riusciti a fare. Certo che avremmo potuto avere bisogno di un supporto psicologico che però non abbiamo avuto, un supporto economico che non abbiamo avuto, un supporto morale che non abbiamo avuto… Il fatto che dopo tre anni ci invitino al programma della “giustizia riparativa” fa un po’ sorridere… Abbiamo comunque fatto un primo incontro con questi “mediatori terzi” e siamo rimasti che ci incontreremo ancora, magari in confronti singoli».
La decisione rimane perentoria. «No no, noi abbiamo già detto che non incontreremo mai gli assassini di Simone. Io purtroppo li ho già incontrati abbastanza durante le udienze e credo che tutto questo non abbia senso alcuno…. Avessimo ottenuto almeno una giustizia vera… ma così è come se dovessimo subire oltre al danno, la beffa».