«È tempo di riaccendere i riflettori su un vero e proprio scandalo. È ora di non piegare la testa, di rivendicare e ottenere i diritti di base». Ricomincia giovedì 20 gennaio, dall’ingresso dell’ospedale San Gerardo la protesta di Mirko Damasco, presidente dell’associazione Salvagente Italia.
Porte, quelle dell’ospedale, chiuse (di nuovo) ai famigliari dei pazienti ricoverati, come provvedimento di cautela per contenere l’innalzamento dei contagi all’interno della struttura. Da dieci giorni nel nosocomio monzese è ricoverata anche la nonna di Damasco, sola senza il conforto dei propri famigliari. Una situazione condivisa da tante famiglie e che riporta drammaticamente indietro l’orologio ai momenti più duri della pandemia, quando i pazienti, la gran parte anziani, finivano i propri giorni in ospedale, senza il conforto dei proprio affetti più cari.
«Il personale è gentile e professionale, ma opera in una struttura che dimentica umanità, scienza e compassione. Il diritto all’assistenza delle persone che ami fa parte della cura. La relazione è cura – ribadisce ancora una volta Damasco – e non un favore».
E così in prima persona Mirko Damasco ha iniziato la sua protesta silenziosa e pacifica davanti all’ingresso principale dell’ospedale. In piedi appoggiato al cancello con un cartello accanto: “La relazione è cura riaprite le visite ai parenti” e l’hashtag #ospedaliaperti. «In questi giorni resterò a presidiare l’ingresso dell’ospedale per qualche ora al mattino. Da settimana prossima io insieme a chi sostiene questa battaglia intensificheremo le presenze e rimarremo qui anche di notte». Il team di Salvagente sta anche preparando un convegno per fare il punto su quanto sta accadendo negli ospedali, nelle rsa e rsd dove è impedito ancora l’ingresso ai famigliari. «Stiamo stilando anche dei protocolli da mettere a disposizione per la riapertura in sicurezza delle strutture sanitarie. Perché ci sono degli ospedali che non hanno mai chiuso, e quindi significa che questo è possibile: basta volerlo». Tra le azioni di protesta anche una manifestazione di piazza per puntare, ancora una volta, i riflettori sullo “scandalo” dei reparti chiusi.
Intanto ha suscitato un’ondata di cordoglio la notizia della morte dell’anziano paziente che nei giorni scorsi era stato ricoverato al Policlinico di Monza. L’accorato appello della figlia, lanciato sui social della città, aveva fatto il giro di Monza.
«Mi rivolgo a chiunque lavori al pronto soccorso del Policlinico – aveva scritto la figlia dell’uomo lunedì 17 gennaio utilizzando uno dei gruppi Facebook e rivolgendosi direttamente ai sanitari dell’ospedale -. Lo so che siete sotto stress, mi permetto però di rivolgervi una preghiera: questa sera avete ricoverato mio papà in codice rosso. Ha 89 anni, ha difficoltà cognitive, è solo e spaventato. Mi è stato detto che è gravissimo, chiedo solo che non sia lasciato solo e impaurito». Un appello che aveva sollevato tanti commenti e messaggi di affetto e vicinanza. L’uomo è deceduto la notte del 19 gennaio. Ad avvisare la città è ancora la figlia che ha voluto ringraziare i tanti che in questi giorni le hanno rivolto messaggi di conforto.
«È ora di non piegare la testa – conclude Damasco, tra i tanti che hanno lasciato un messaggio d’affetto alla figlia dell’anziano -. Non accettiamo queste regole come non le abbiamo accettate a luglio dell’anno scorso (Damasco intraprese lo sciopero della fame proprio per chiedere la riapertura delle strutture sanitarie ai famigliari, nda) quando con la forza della protesta pacifica abbiamo ottenuto la riapertura delle rsa, ospedali e sale parto».