Nuovi dettagli sull’arresto dell’agente di polizia penitenziaria di Monza accusato di spaccio all’interno del carcere con la complicità di un detenuto. L’uomo è finito in manette l’8 genaio dopo l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal tribunale di Monza: era a Barletta, al momento dell’arresto, da lì è stato trasferito a Santa Maria Capua a Vetere,
Nella ricostruzione del meccanismo adottato dai due emerge che l’agente era chiamato “l’uomo delle focacce”, quello cioè che riusciva a portare all’interno della casa circondariale di via Sanquirico, per esempio, un panetto di hashish al mese, del peso di un etto, un etto e mezzo. Che poi veniva “porzionato” dal detenuto incaricato di venderlo ai detenuti. È stata proprio la polizia penitenziaria monzese a collaborare con i carabinieri per incastrare il collega, a partire da una sim card telefonica trovata all’interno di una cella: non era autorizzata, naturalmente, ma veniva usata per comunicare con l’esterno.
In quelle telefonate c’erano anche quelle passate dai familiari del detenuto che spacciava all’interno della casa circondariale. Era lui -secondo le indagini- a dare indicazioni ai genitori perché ricevesse l’agente della penitenziaria nel loro panificio di Quarto Oggiaro, a Milano: “l’uomo delle focacce” ritirava da loro il denaro per comprare droga. Hashish o cocaina alla mano (o meglio nascosta) tornava in carcere per consegnarla al detenuto, che solo allora passava all’agente una parola in codice (come “ogan”) per andare di nuovo al panificio a ritirare la sua parte di bottino, circa 300 euro alla volta.
Poi il capitolo assenze dal lavoro dell’agente, per le quali si faceva firmare da un medico falsi certificati di malattia: sono 502 giorni di assenza da inizio 2013 a fine 2015, con 53 certificati di un medico di familgia monzese che secondo la procura sapeva della finta malattia dell’agente