Truffa e autoriciclaggio: queste le accuse che hanno portato martedì 14 gennaio alla applicazione di una misura cautelare nei confronti di 14 persone. Le indagini, coordinare dalla Procura del capoluogo brianzolo, sono state condotte dai militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Monza Brianza. I finanziari hanno eseguito un’ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere per sei persone, degli arresti domiciliari per altrettante e dell’obbligo di firma per due, disposta dal G.I.P. presso il Tribunale del capoluogo, nei confronti del gruppo, gravemente indiziato di essere il promotore o compartecipe di una associazione per delinquere.

Monza, 12 arresti della Finanza: accuse di truffa e autoriciclaggio
Le indagini avviate attraverso autonome attività info-investigative, hanno riguardato “sei autosaloni attivi nel territorio brianzolo e nel bergamasco”, i cui titolari avrebbero commesso truffe ai danno di società finanziarie ed effettuato autoriciclaggio dei proventi illeciti conseguiti. Attraverso unità cinofile “cash dog” effettuato un provvedimento di sequestro preventivo, emesso dalla stessa Autorità Giudiziaria, di disponibilità finanziarie per oltre 8 milioni di euro, “pari ai profitti illeciti dei reati ascritti”.
Monza: 12 arresti della Finanza, cosa hanno svelato le indagini
Sarebbe stata svelata in particolare “una strutturata associazione per delinquere diretta da imprenditori brianzoli operanti nel commercio di autovetture” che “avvalendosi di soggetti di etnia “sinti””, avrebbero in primo luogo individuato prestanome ai quali intestare un contratto di finanziamento – “destinato a non essere onorato” – per l’acquisto di autovetture “da note società finanziarie”. Identificati in particolare “110 soggetti nullatenenti”, che sarebbero stati i beneficiari dei finanziamenti ottenuti “attraverso la presentazione di documentazione attestante una situazione reddituale non veritiera”, che “hanno omesso il pagamento delle relative rate”.
Le autovetture venivano poi “immediatamente cedute agli autosaloni amministrati dai capi dell’associazione” che le rivendevano “a prezzi sensibilmente più bassi rispetto a quelli di mercato a clienti del tutto ignari”.