Trentuno anni, laureato alla Bicocca, specializzato in Ortopedia al Gaetano Pini di Milano, con un anno di formazione a Lione durante la specializzazione. Francesco Manzini segue le orme del padre Claudio e da qualche mese lavora agli Istituti clinici Zucchi di Monza. Sul suo profilo Instagram, da poche settimane, ha iniziato a pubblicare brevi video per raccontare in modo semplice il “dietro le quinte” di alcuni degli interventi più comuni, come l’impianto di una protesi all’anca o la ricostruzione del legamento crociato del ginocchio.
«In poco tempo ho raggiunto quasi 400 follower – racconta – Ho scelto Instagram perché vedo troppi colleghi atteggiarsi a fenomeni, parlando di operazioni miracolose. Invece, credo sia fondamentale spiegare bene cosa succede realmente e quali sono i tempi di recupero, che di certo non si misurano in poche ore».
Medici in fuga, lo specialista e l’assicurazione obbligatoria prima di lavorare

Nonostante l’entusiasmo per una professione che ha scelto e sempre respirato in famiglia (oltre al padre, anche la sorella e il cognato sono ortopedici), Francesco Manzini non è sorpreso dai dati emersi dall’indagine di Assomed Lombardia. «Rispetto a quando ha iniziato a lavorare mio padre, molte cose sono cambiate – spiega – ne parliamo spesso. Io, per esempio, prima ancora di poter esercitare e quindi percepire uno stipendio, ho dovuto pagare 8 mila euro di assicurazione obbligatoria. Oggi il timore più grande per noi medici sono le cause legali. Il confronto con la generazione precedente è costante: noi giovani seguiamo scrupolosamente le linee guida, non solo per migliorare le cure, ma anche – e forse soprattutto – per proteggerci da azioni giudiziarie».
Questo clima di tensione e paura dei risvolti legali ha portato a un aumento della medicina difensiva: prescrivere più esami del necessario o scegliere trattamenti meno rischiosi. Le conseguenze sono pesanti per tutti: i costi per la sanità lievitano, le liste d’attesa si allungano e il livello di stress cresce sia per i medici, sempre più sotto pressione, sia per i pazienti, che faticano ad accedere in tempi brevi a diagnosi e cure appropriate.
Medici in fuga, lo specialista e l’intelligenza artificiale
Sulla sua condizione professionale, però, Manzini non si lamenta: «Molto dipende dalla specialità scelta – sottolinea – Ho un’amica, medico specialista in un grande ospedale pubblico, che guadagna 24mila euro all’anno senza grandi prospettive di crescita futura. Io ho avuto la fortuna di scegliere una specialità tanto faticosa quanto appassionante. Inoltre, lavoro in una realtà privilegiata: una struttura privata convenzionata lombarda, parte di un gruppo importante che investe molto nella sanità. Se si sceglie una specializzazione che consente anche un’attività ambulatoriale privata, si può ottenere la giusta gratificazione economica e personale fin dai primi anni».
Sui risultati della ricerca Assomed, ribadisce: «Non mi stupiscono, soprattutto quando si parla della perdita di autorevolezza della professione medica. Oggi capita sempre più spesso di avere pazienti che interrogano l’intelligenza artificiale e poi ci dicono cosa dovremmo fare».
Medici in fuga, lo specialista e gli atteggiamenti ostili
Ma il problema va oltre: la fiducia nei confronti dei medici si è incrinata al punto da generare atteggiamenti ostili, se non addirittura violenti. Gli episodi di aggressioni nei confronti del personale sanitario sono in aumento, segno di un disagio sociale, in cui il nostro ruolo viene sminuito e il nostro lavoro dato per scontato. Eppure, la medicina non è un mestiere qualunque: è un impegno costante, che non conosce orari, che spesso sacrifica la vita privata e che porta con sé enormi responsabilità.
Se questa deriva non viene arginata, il rischio è quello di un sistema sanitario con medici sempre più sfiduciati e sottopagati, costretti a lavorare in condizioni difficili e con prospettive sempre meno gratificanti. «Se continuiamo su questa strada – conclude Manzini – la sanità rischia di perdere attrattività per i professionisti migliori, con conseguenze che ricadranno inevitabilmente sulla qualità delle cure e sul benessere dei pazienti».