Lascia la moglie, poi ci ripensa: lei lo rifiuta e lui tenta di investirla con l’auto

Il racconto di una caratese in un’aula del tribunale di Monza. Al banco degli imputati il marito, accusato di maltrattamenti in famiglia e di aver cercato di investire la donna con l’auto.
Il tribunale di Monza
Il tribunale di Monza

«L’ho visto allontanarsi con la sua 500 ma l’ho seguito comunque con gli occhi, non mi fidavo. Infatti ha svoltato e mi è piombato addosso cercando di investirmi. Io per istinto mi sono gettata di lato, in un fossato. Fortunatamente c’era un campo e non l’asfalto. Comunque mi sono fatta male, sono finita al pronto soccorso».
Nessuna lacrima, ma tanto gelo nei confronti del marito, imputato, lì, in un’aula di tribunale, a Monza, a pochi metri da lei, la parte offesa. L’uomo, accusato di maltrattamenti in famiglia, che giusto un anno fa, ad Albiate, avrebbe tentato di farle del male. Molto male.
La coppia ha un figlio: «Che il signor V. sente ogni giorno, lo chiama al cellulare per sapere cosa abbia fatto e come stia» dice lei, chiamando signor V. l’uomo con il quale per anni ha condiviso la vita, sotto lo stesso tetto. Invece quando telefonava a lei: «erano solo insulti e minacce».

Le querele iniziano ad ottobre del 2013 e finiscono a luglio dello scorso anno, quando il signor V. finisce per una notte in guardina. Ora è a piede libero.

«Una sera – spiega la signora – tornato dal lavoro mio marito si è messo a riempire una valigia. Quando gli ho chiesto cosa stesse facendo mi ha risposto che si era stancato, non era più felice e aveva deciso di andarsene di casa». Un comportamento non nuovo, almeno a detta della donna: «L’aveva già fatto anche in passato».

Ma poi era sempre tornato (e lei l’aveva riaccolto). Ci ha tentato anche questa volta: «Pochi giorni dopo – racconta la donna al giudice – già voleva rientrare a casa, ma io glielo ho impedito».
Un finale evidentemente non previsto da parte del marito che, sempre in base al racconto della moglie, avrebbe cominciato a ossessionarla in ogni modo. «Ricevevo minacce di continuo, al telefono e di persona – dice – Mi insultava e mi diceva “ti ammazzo”».

Racconta di aver ricevuto fino a 80, 90 telefonate al giorno, a tutte le ore. E poi i pedinamenti: «Me lo ritrovavo ovunque, sempre quando il nostro bambino non c’era. È capitato anche che di notte suonasse l’allarme di casa, sono sicura che fosse lui. Voleva sempre sapere dove fossi e con chi. Una sera sono uscita con delle amiche e al mio ritorno l’ho trovato davanti a casa».
Lo teme: «In passato una volta mi ha picchiato». Non vuole mai trovarsi da sola con lui: «Quando mi ha detto che voleva venire a prendersi i suoi vestiti l’ho fatto entrare con i carabinieri».
L’epilogo, che rischia di sfociare in tragedia, arriva il 13 luglio dello scorso anno: «Avevo accompagnato mio figlio a scuola, a piedi, e mentre tornavo lui è arrivato, con la sua auto. L’ho ignorato, lui ha puntato dritto addosso a me. Mi sono buttata di lato, in un fosso, Mi sono fatta male a un ginocchio, nulla di che ma sono dovuta andare al pronto soccorso».

Lui, il signor V., mentre la moglie parla scuote ripetutamente la testa. Potrà raccontare la sua versione nella prossima udienza, il 10 settembre. In quella occasione dovrebbe essere convocato come testimone anche il comandante della stazione dei carabinieri di Carate.