C’erano almeno 250 persone, giovedì sera, alla sede del Cittadino, per ascoltare monsignor Raphael Minassian, testimone diretto (i nonni furono inghiottiti nello sterminio degli armeni un secolo fa) tanto del genocidio quanto dello storico discorso del Papa, che lo ha ricevuto in udienza domenica scorsa. Quel pubblico per il vescovo armeno è stata una piccola grande testimonianza di passione per la storia e per la verità.
Un riverbero della stessa passione ci ha convinto a dedicare l’apertura di questa edizione alla scelta del comune di Lissone, che in collaborazione con l’Anpi ha preso una decisione storica. Come potete leggere, in coda al ricordo di chi ha perso la vita per contribuire alla liberazione dell’Italia dal nazifascismo, la mostra – di cui pubblichiamo in anteprima uno spezzone – ha voluto includere i nomi e la memoria di sette vittime (tra cui un gerarca fascista) uccise per vendette o ritorsioni nei terribili anni della “guerra civile” italiana.
Non c’è bisogno di spiegare la rivoluzionarietà di questo “allargamento” della memoria, tanto più perché proviene da una giunta di centrosinistra e da un’associazione – l’Anpi – spesso distintasi per una battagliera e rigida custodia ideologica della storia, fino a veri propri episodi di strumentalizzazione politica delle vicende della Resistenza. Il Cittadino non fa il tifo per questa o quella amministrazione: proprio per questo riconosce alla scelta della giunta e dell’associazione partigiani un coraggio e un’intelligenza notevoli nel maneggiare una ricorrenza, quella del 70esimo del 25 aprile, ad altissimo rischio di retorica e di contrapposizioni.
Considerare quei sette morti in una mostra istituzionale dedicata alla Resistenza significa sottrarli alla coltre di ignavia o di odio che per lunghi decenni ha espunto le loro storie dalla Storia e dalla memoria collettiva, e ridare dignità e legittimità al dolore di tante famiglie. Non c’è – non ci potrebbe essere, del resto – ovviamente alcuna velleità di mescolare ragioni e torti, ma il rispetto della sofferenza comunque ingiusta. Quello di Lissone è un piccolo passo, certo, e altri ne serviranno perché il discorso pubblico sulla nostra storia sia un discorso di verità e non una schermaglia. Ma al tempo stesso è un passo cruciale, proprio per la sua origine. E fa il paio – si parva licet – con la schiettezza del Papa, per il quale l’invito alla riconciliazione tra i popoli e dentro ogni popolo non può che partire da un accento del vero. Che l’Anpi metta per iscritto gli episodi di «giustizia sommaria» dopo il 25 aprile significa cominciare a chiamare le cose col loro nome.