In attesa dell’avviamento del progetto di “Aut Academy” che sarà ospitato alla scuola agraria del Parco di Monza, la cui presentazione è prevista per venerdì 18 febbraio, alle 11, in Villa Reale, il Cittadino ha conversato con la seregnese Melissa La Scala, la mamma di Alessandro Perego, che con tutte le sue forze si è battuta durante la passata estate per dare un futuro, al termine del periodo scolastico, a ragazzi autistici come il suo. Negli anni scorsi con il marito ha fondato anche l’associazione Facciavista, molto attiva sul territorio.
Sulla sua strada ha trovato tante aperture e sensibilità al problema, tanto da contribuire a costruire un progetto importante che, ne siamo certi, incontrerà i favori di moltissimi genitori che vivono quotidianamente la sua stessa situazione.
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«È un errore credere che la mia sia una battaglia per Alessandro – ha esordito Melissa La Scala – la mia è una battaglia di civiltà. Il mio obiettivo è che non ci siano altri genitori che vivano in futuro quanto abbiamo vissuto noi. Oggi il nostro sistema inclusivo è spesso solo un sistema partecipativo, si confonde l’inclusione con la partecipazione, anche a scuola spesso è così. Non bisogna fare di più, ma bisogna fare qualcosa di meglio per accompagnare questi ragazzi alla vita adulta».
La persona al centro. «Ma affinché ciò sia possibile – ha proseguito – è necessario mettere la persona al centro, con le proprie aspirazioni, con le proprie capacità correlate al mondo del lavoro. Con il mio caso è venuto a galla la mancanza di un reale progetto di transizione scuola- lavoro. Una transizione molto importante nella parte più delicata della vita di una persona che è appunto quella del periodo conclusivo del ciclo scolastico nell’età in cui le capacità cominciano ad affiorare».
La brianzola ha spiegato che «l’onorevole Erika Stefani ha fatto una bellissima legge sulla disabilità. È incentrata sul progetto di vita delle persone disabili. Manca un aspetto però, l’inserimento lavorativo che a mio parere è l’elemento più qualificante del progetto di vita».
E dalla mancanza di un progetto vita è nata Aut Academy. «Sì, è proprio così. Un progetto dove si ricercano le condizioni in cui le capacità dei ragazzi possono esprimersi, in cui le attitudini siano stimolate».
Senza mezzi termini ha dato poi una sferzata alla scuola che sopravvaluta nei giudizi i ragazzi autistici pur di liberarsene. «Ho visto la valutazione delle competenze di mio figlio – ha affermato con tono perentorio – e, con un sentimento di vergogna, la vergogna è un sentimento positivo, è una molla per il cambiamento, mi sono chiesta quanto quelle valutazioni riguardassero le competenze che realmente servono ad Alessandro per definire il suo progetto di vita. Ha avuto 8 in filosofia e mi sono immaginata che mio figlio discutesse del dubbio metodico e del dubbio iperbolico. In realtà un dubbio molto più grande ha infiammato la matrice dei miei pensieri: a che cosa serve quella valutazione?»
“Aut Academy” è un progetto ma anche un ponte, un ponte sulle acque tempestose sulle quali le famiglie dei ragazzi neurodiversi devono navigare nel viaggio di una vita. «In futuro sarebbe opportuno – ha aggiunto – coltivare relazioni sempre più strette tra il mondo della scuola e quello del lavoro. L’inserimento lavorativo è l’elemento più qualificante del progetto di vita. Si pone la necessità di finalizzare più efficacemente le attività formative, con particolare riferimento a quelle svolte in contesti di apprendimento formale, al conseguimento di competenze reali, significative perché utili per la partecipazione sociale e l’inserimento lavorativo». Aut Academy vuole, deve coprire questo vuoto.