La vetta come punto di arrivo che segna anche una nuova partenza, la montagna come sfida con se stessi in un ambiente ostile, che porta a sfidare costantemente i propri limiti e che non perdona. Mai. Nel settantesimo anniversario dell’impresa italiana sul K2 di un altro brianzolo il cui nome è famoso in tutto il mondo, Walter Bonatti, un pezzo di Brianza torna sulle vette del mondo.
Protagonista di questa impresa, è proprio il caso di dirlo, è l’alpinista di Aicurzio Matteo Colnago.
Il 36enne, dopo aver scalato le montagne più impegnative del mondo come il Mera Peak e il Chulu Est entrambe di 6000 metri o il Monte Kazbek in Georgia, questa estate ha scalato la vetta più alta della Shigar Valley in Pakistan, il Khosar Gang, (6.040 metri).
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Un’impresa che non a caso arriva nell’anniversario del “miracolo italiano” sul K2 e che non rappresenta solo una sfida personale con i propri limiti, bensì qualcosa di ancora più profondo.
“Un’impresa dedicata a tutti i giovani, ma in particolare ai “Neet” quei quei ragazzi che a causa di tutti i cambiamenti sociali e geopolitici nel mondo, non studiano e non lavorano per paura dell’ignoto” dice Colnago che, nei prossimi giorni, darà alle stampe “Destinati a combattere” per le edizioni Passaggio al Bosco.
Quella paura dell’ignoto che si affronta ogni secondo quando ci si trova in montagna, impegnati in scalate così estreme. Colnago cerca proprio di far vedere cosa significa affrontare l’ignoto, compiere scelte difficili.
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“Da piccolo andavo in montagna con mio padre (l’ex primo cittadino di Aicurzio) a fare trekking e anche qualche ferrata. Poi durante l’adolescenza ho scoperto di soffrire di vertigini. Questo però non mi ha impedito di prendere il brevetto civile di paracadutismo sotto il controllo militare dai 500 metri e in seguito il brevetto sportivo effettuando un lancio in caduta libera dai 4000 metri. Durante i lanci non soffrivo di vertigini come succedeva in montagna. Ho voluto capire perché e ho compreso che, quando facevo paracadutismo, la mia mente era focalizzata sul lancio e la concentrazione era più forte di tutto”.
Durante questa ultima impresa hai avuto paura? “La paura è un sentimento nobile, in questo caso non ho dovuto affrontare momenti di grande paura anche se ho avuto dei timori perché si trattava di una montagna poco conosciuta. Paradossalmente l’Everest, che è più alto, è molto più conosciuto. Quello che ci tengo a trasmetter ai giovani è che, in una società sempre più liquida dove non ci sono più certezze, la paura non ci deve bloccare ma dobbiamo trasformar questo stato in qualcosa di costruttivo e concentrarci sulle sfide senza scappare. Le discipline sportive ti insegnano anche questo”, dice Colnago.
Una storia di coraggio che può ispirare i più giovani nella vita di tutti i giorni a raggiungere le vette di una quotidianità che, a modo suo, rappresenta una sfida continua per tutti noi