Una fotografia, la stessa che lo ricorda sulla lapide al campo dei Caduti al cimitero di via Foscolo a Monza, e un raffinato portasigarette in argento: è ciò che rimane di Virginio Vismara, richiamato come caporal maggiore del 59esimo reggimento artiglieria della Divisione Cagliari allo scoppio della Seconda guerra mondiale e mai tornato a casa. I suoi genitori e i suoi fratelli non hanno più saputo nulla di lui se non la data presunta della morte: il 16 ottobre 1944 a Belgrado, né hanno ottenuto i resti da seppellire. Lo hanno, però, sempre ricordato con affetto, come per decenni hanno fatto le famiglie di migliaia di militari uccisi in battaglia o nei campi di prigionia. Ora la sua memoria è custodita dalla nipote Anna Maria, che venerdì 19 settembre in prefettura ha ritirato la medaglia d’onore conferita dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Medaglie d’onore: la ricostruzione di una vita troppo breve

«La sua fotografia e il portasigarette mi hanno colpita fin da bambina -racconta Anna Maria-: ho continuato a curare il suo posto al cimitero, come quando andavo con i miei genitori». Proprio da un incontro fortuito con uno sconosciuto davanti alla lapide, una cinquantina di anni fa, la famiglia Vismara ha saputo che Virginio è morto a Belgrado, forse fucilato dai nazisti durante quella che è stata la battaglia ferocissima tra i tedeschi e i russi per liberare la città. Virginio aveva 32 anni: era nato a Seregno in una famiglia benestante che commerciava vini. Il tenore di vita in casa, fino allora agiato, precipitò di colpo nel 1928 a causa della crisi economica: i Vismara si trasferirono a Monza, Virginio e i suoi fratelli dovettero cercare un lavoro e lui divenne operaio. «Mio papà è nato proprio in quell’anno -continua la nipote-, i miei zii hanno sempre dipinto Virginio come un giovane riservato e non ricordano di aver conosciuto fidanzate o passatempi». Né lui ha mai mandato lettere dal fronte o dalla prigionia. Ma c’è un piccolo mistero. «All’epoca -aggiunge- spesso trovavamo fiori freschi sulla sua tomba e una volta mia zia ha visto una donna allontanarsi». Nessuno sa chi fosse e di lei, come dello sconosciuto che ha rivelato il luogo della sua morte, si sono perse le tracce.
Medaglie d’onore: il desiderio (incompiuto) di sapere qualcosa in più
«Non è facile ottenere informazioni su quello che è accaduto in Jugoslavia -spiega Anna Maria-: a differenza della Germania non ci sono banche dati. Non sappiamo come sia arrivato a Belgrado: sappiamo che lì hanno combattuto centinaia di italiani, che alcuni dopo essere stati liberati dai campi tedeschi sono stati nascosti nelle case mentre tanti sono morti. Ho cercato tra i parenti dei medagliati qualcuno che sapesse qualcosa di più sulla battaglia di Belgrado, ma non ho trovato nessuno: mi piacerebbe andare là per capire se ci sono altri elementi. Al 25 Aprile con mio marito vado sulla sua tomba e, come diceva sempre mio papà, speriamo che non sia morto per niente».