Monza – Il malcostume è diffuso: si prendono la terra da scavo oppure il materiale edile risultato di una demolizione e li si buttano in un campo senza seguire le procedure di smaltimenmto previste dalla legge. Se non si ha a disposizione un terreno o non si trova un proprietario compiacente, la «merce» si può sempre vendere a un altro cantiere che la usa come materiale di riempimento oppure utilizzare per il sottofondo delle strade. Un business fiorente anche a Monza e in Brianza e nel quale la criminalità organizzata, ’ndrangheta in primis, sguazza da tempo. Un esempio recente, nell’autunno scorso, viene da un’inchiesta della Dda di Milano sulla zona di Corsico e Buccinasco, dove la criminalità calabrese, storicamente presente da quelle parti come d’altra parte anche in Brianza, aveva messo le mani proprio su questi tipo di affari. Ma andando un paio d’anni indietro non si può dimenticare l’indagine della Polizia provinciale sulla Gomorra brianzola, sulla banda che tra Desio e Seregno spostava terra e scaricava rifiuti realizzando guadagni consistenti.
Un business che, nonostante gli interventi degli investigatori e della magistratura, continua ancora oggi. Lo dimostrano i controlli della Polizia provinciale di Monza che in questi ultimi mesi, dall’estate scorsa a oggi, ha segnalato alla Dia, la Direzione investigativa antimafia, una dozzina di aziende di trasporto che si sono rese responsabili di violazioni nello smaltimento di terra omateriale edile. I lavori dell’alta velocità e quelli futuri dell’Expo rappresentano un piatto troppo ricco per la criminalità organizzata che sfrutta l’andazzo, la consuetudine del mondo dell’edilizia di smaltire allegramente quelli che per la legge sono rifiuti, per offrire ai clienti i suoi servigi, facendoli risparmiare con uno smaltimento veloce e riempiendo le proprie tasche. Certo, non significa che tutte le aziende che si prestano a questa pratica facciano per forza riferimento alla criminalità organizzata, che però, in un contesto del genere, può facilmente realizzare i suoi affari confondendo le acque.
D’altra parte quello che ha verificato in questi mesi lo sparuto numero di agenti della Polizia provinciale che lavorano in Brianza è che i trasportatori spesso e volentieri sono calabresi o campani. Un elemento che di per sè dice tutto e niente, ma che non può far scattare qualche sospetto visto l’attivismo, proprio in questo campo, di ndrangheta e camorra. «Il nostro lavoro -dice Gennaro Caravella, responsabile della Polizia provinciale di Monza- parte dal controllo dei trasportatori. Quando una nostra pattuglia li ferma per prima cosa chiedere loro di esibire il formulario che dovrebbe spiegare provenienza e destinazione dei rifiuti trasportati». Ed è proprio qui che casca l’asino. Non è raro che il trasportatore sia in difetto: mancano le indicazioni sul punto di partenza e sul punto di arrivo del materiale oppure manca addirittura il formulario stesso, rimasto magicamente nell’azienda che ha commissionato il trasporto. Questi sono evidentemente segnali che fanno drizzare subito le antenne agli agenti. Anche perchè l’assenza del formulario significa sequestro amministrativo e sanzioni, se i rifiuti sono pericolosi si rischia anche dal punto di vista penale.
Nel settore, d’altra parte, si sta verificando un fenomeno che merita, una volta ancora, un attento monitoraggio della situazione: le aziende di trasportatori sono spesso piccole, a volte aziende individuali nelle quali esiste solo il titolare che dispone di un camion e basta. Oppure ci sono padroncini che gestiscono due o tre mezzi al massimo. Sempre più diffusa anche la presenza di camionisti stranieri, extracomunitari, che convertono le loro patenti in quella italiana e danno diverse garanzie al datore di lavoro: albanesi, colombiani, marochini rispetto agli italiani non protestano e lavorano di più senza fiatare. Non solo: il fatto di essere stranieri e a volte senza grande dimestichezza con la lingua italiana, può diventare una scusa utile per cercare di impietosire l’agente di turno di fronte a irregolarità del formulario: «Non ha capito bene cosa gli ho detto» può sempre giustificarsi il datore di lavoro tentando di mascherare qualche mancanza relativa ai documenti.
Paolo Rossetti