Stalking a Monza: «17 denunce,ma non ho ancora avuto giustizia»

Monza – Si può vivere con il timore di un agguato sotto casa? Con la paura di parcheggiare l’auto nel box? Con il terrore che il telefonino squilli e che dall’altra parte arrivino minacce di morte e insulti?Non si può vivere così. “Questa non è vita-ci racconta Luisa (il nome è di fantasia),monzese vittima di stalking da oltre due anni e mezzo- mi sembra di essere agli arresti domiciliari, chiedo soltanto di poter riavere la mia vita”.

A perseguitarla è l’ex marito da cui si è separata nel dicembre scorso dopo una storia travagliata durata vent’anni. E’ stato lo stesso uomo a chiedere la separazione,ma da allora non la lascia vivere. “Sei mia o di nessun altro”-le dice nei suoi agguati sotto casa o sul posto di lavoro. “Devi morire” è la minaccia che Luisa ha registrato e ha fatto ascoltare al magistrato.Due anni di battaglia legale, diciassette denunce che hanno finora portato a poco: “Il mio ex-racconta- ha avuto per tre mesi gli arresti domiciliari,ma anche in quel periodo me lo ritrovavo sotto casa”.

“Adesso l’uomo è stato diffidato dal presentarsi sotto casa della mia assistita-spiega l’avvocato- ma anche questa diffida non viene rispettata. Al momento ci sono stati tre rinvii a giudizio per malattia o assenza del giudice. Prevedo tempi lunghi e a farne le spese è la signora che vive in continua tensione emotiva”.Dal 2001 Luisa si è rivolta al Centro Aiuto Donne Maltrattate di Monza : ha trovato volontarie che le hanno offerto aiuto e sostegno,ma la legge non la tutela.

“Non si capisce- spiegano al Cadom- perché la vita deve essere resa ancora più difficile dalla burocrazia. Perché per ogni denuncia ci debba essere una nuova pratica aperta e non possa essere tutto riunito in un unico caso. Non si capisce perché di fronte alla registrazione di minacce di morte, alle fotografie degli appostamenti sotto casa e al lavoro, prodotti dalla vittima , ci siano continui rinvii a giudizio”. C’è di più. Non è efficace nemmeno la “scatola rosa”, ovvero il dispositivo satellitare che l’associazione Ania ha distribuito ,per ora solo nella città di Monza, come aiuto alle donne che possono trovarsi in situazioni di pericolo.

“Si tratta di un dispositivo satellitare che mi è stato posizionato in macchina-spiega Luisa- in caso di pericolo devo schiacciare un pulsante collegato con le forze dell’ordine che riescono a sapere esattamente da chi arriva la chiamata e dove si trova la macchina. Il problema è che alla chiamata non segue l’arrivo delle forze dell’ordine,ma semplicemente vengo richiamata sul mio cellulare per sapere cosa succede”.

Il risultato? “Una volta mi sono trovata con l’ex marito alle spalle e non potevo certo rispondere al telefono-spiega Luisa- per fortuna sono stata salvata da due passanti. In altri casi ho risposto al telefono,ma, ora che le forze dell’ordine sono arrivate ,il mio ex era già scappato via”.Per questo Luisa chiede aiuto e una modifica nel funzionamento della scatola rosa : “Nei casi di reale pericolo di morte come il mio –spiega- la mia richiesta di soccorso dovrebbe portare immediatamente all’uscita di una pattuglia”.Chiede anche tempi più rapidi alla giustizia: “Non mi sento tutelata,non posso più uscire di casa, andare al lavoro,portare la nipotina al parco giochi,chiedo di poter riprendere la mia vita. Chiedo troppo?”.
Rosella Redaelli