Vimercate – «La chiamavamo “la mamma”, perché sotto il suo ombrello, e rispettando le sue regole, i dipendenti erano quasi accuditi e coccolati. Si avevano benefit economici importanti e si entrava in una sorta di mondo, anche sociale e del tempo libero, costruito dall’azienda, secondo un modello tipico americano. La sensazione era che nulla potesse scalfire questo sistema». Gianmario Contesi, 58 anni, in pensione dal gennaio 2010, residente a Milano con la moglie e un figlio, si ricorda bene di cosa significava lavorare in Ibm ai tempi d’oro, quando diventare dipendente della multinazionale equivaleva a «essere a posto per tutta la vita».
Era il 15 luglio 1974 quando, ventunenne e con in tasca un diploma professionale di elettrotecnico, varcò la soglia dello stabilimento di via Lecco dopo aver risposto a un’inserzione pubblicata su un giornale e iniziò la carriera professionale che avrebbe concluso come responsabile delle analisi di laboratorio di metrologia elettrica ed elettronica di Celestica e poi di Bames. Oltre 1.500 dipendenti e ritmi di produzione che nell’arco di pochi anni avrebbero marciato ancora più spediti, «perché con la riconversione industriale degli anni Ottanta, con la dismissione di realtà come Falck, Pirelli, Breda, Ansaldo, e il mutamento del mercato, le nuove aziende avevano bisogno di avanguardia, di informatica e Ibm era in grado di rispondere a questa enorme domanda – racconta Contesi -. Producevamo grandi elaboratori e li affittavamo, perché nessuno acquistava, i costi erano elevati e la tecnologia nell’arco di un solo anno diventava obsoleta».
Tutto a gonfie vele, gli utili della multinazionale che volavano, e così continuò per buona parte degli anni Ottanta. Intanto Ibm improntava di sé anche il paesaggio circostante: a Vimercate, soprattutto Oreno, e nei paesi vicini fiorirono veri villaggi, spesso di villette a schiera, dove tanti dipendenti di Ibm si erano trasferiti. La busta paga era pesante, gli straordinari la norma, i benefit concessi da Ibm più d’uno e oggi inimmaginabili: polizze assicurative sulla vita, il piano casa con prestiti fino a un quarto del costo dell’immobile restituiti a tassi d’interesse irrisori, viaggi premio all’estero, aumento di stipendio quasi annuale e contrattato singolarmente.
«A Peregallo, per una ventina d’anni, funzionò un country club esclusivo per i dipendenti Ibm, che pagavano una quota d’iscrizione simbolica, dove c’erano campi da tennis, piscina, ristorante. Io ci andai poche volte, ma molti si ritrovavano spesso, nei fine settimana, con le famiglie, per trascorrere anche il tempo libero insieme. Molto americano. Questo club venne chiuso a metà degli anni Novanta, segno del declino ormai iniziato», continua Contesi.
Da mamma a matrigna. Gli utili già assottigliati da una decina d’anni, calano ulteriormente. Il mercato dei grandi elaboratori è alla curva massima di esaurimento. Il turnover che un tempo era in saldo sempre positivo, stenta ad arrivare al pareggio. Si sopravvive, ma la crisi è dietro l’angolo. Nel 2000 il ripudio, sempre all’americana, per lasciare ad altri, sostiene qualcuno, il compito sporco di dismettere: Ibm scorpora e cede a Celestica la parte produttiva dei siti di Vimercate e di Santa Palomba, a Roma, chiuso dopo tre anni. Il resto è parabola recente, esuberi, cassa integrazione, mobilità. Con Ibm, e il suo sogno americano, ormai lontani.
Anna Prada