Salvini e Moratti: «Centrale nucleare in Lombardia, perché no?». A che punto siamo con il deposito nazionale scorie?

VIDEO L’intervista - Mentre si cerca una Regione che dovrà ospitare il deposito nazionale scorie, Matteo Salvini apre all’apertura di una centrale nucleare in Lombardia: «Perché no?». Anche il vicepresidente regionale Moratti si accoda all’idea.
La centrale nucleare di Sessa Aurunca (Caserta), sul fiume Garigliano
La centrale nucleare di Sessa Aurunca (Caserta), sul fiume Garigliano

«Una centrale nucleare in Lombardia? Che problema c’è? Ci sono centrali nucleari nei centri storici di tante città». Così il leader della Lega, Matteo Salvini, a «Radio Anch’io» su Radio1. Parole che hanno riaperto il dibattito sull’uso del nucleare in Italia. E che sono seguite, poco dopo, dalla presa di posizione a Buongiorno, su Sky TG24, Letizia Moratti, vicepresidente e assessore al Welfare della Regione Lombardia. Alla Moratti è stato chiesto di commentare le parole del leader della Lega. Ecco la sua risposta:«Il nucleare ha fatto grandissimi passi avanti, adesso c’è un nucleare verde, un nucleare sicuro, personalmente credo sia anche il modo per non pagare bollette che continuano a crescere, siamo troppo dipendenti dall’estero per importare energia. Un nucleare verde, sicuro, credo sarebbe una buona cosa, non solo per la Lombardia ma per l’Italia»

Si tratterebbe di una svolta epocale. Anzi, di una vera e propria inversione a “U” rispetto alla direzione presa dal Paese. In Italia sono state costruite quattro centrali nucleari: una a Trino, nella zona di Vercelli, una a Caorso in provincia di Piacenza, una a Latina e una nel comune di Sessa Aurunca (Caserta), sul fiume Garigliano. Tutte e quattro al momento sono in fase di decommissioning, ovvero di dismissione. La scelta di bloccare lo sviluppo dell’energia nucleare è del 1987, anche se risale almeno a un anno prima, nel 1986, all’epoca deil disastro di Chernobyl. Il rinnovato spirito ambientalista aveva ripreso vigore. Il 10 maggio di quell’anno si tenne a Roma una gigantesca manifestazione popolare anti nucleare, con Legambiente in prima fila, a cui parteciparono più di 200mila persone. L’anno successivo l’energia fornita dall’atomo andò definitivamente in soffitta con la vittoria del fronte ambientalista nei referendum abrogativi.

Se da una parte la Lega, dunque, apre al ritorno del nucleare, il Paese è impegnato nella faticosa ricerca di una sede del futuro deposito nazionale delle scorie nucleari, l’impianto dove l’Italia stoccherà circa 95mila metri cubi di rifiuti radioattivi, tra scarti della filiera ormai dismessa e scorie dalla medicina nucleare e dall’industria. A guidare questo percorso è Sogin, società pubblica nata per questo scopo e che ha avviato proprio in questi giorni la fase di consultazione pubblica che durerà fino a fine novembre per rispondere a domande e dubbi di quei territori che, sulla carta, hanno caratteristiche adatte per ospitare il deposito e persuaderne almeno uno ad autocandidarsi per la costruzione, che costerà 900 milioni di euro e durerà quattro anni. Sono sette le Regioni coinvolte: Sicilia, Sardegna, Basilica e Puglia, Toscana, Lazio e Piemonte.

Secondo il calendario fornito da Sogin, la società dovrà effettuare un’ulteriore scrematura dei territori candidati entro il 15 dicembre arrivando a una nuova mappa: la Cnai, la Carta nazionale delle aree idonee. Quello sarà la rosa finale dei siti tra cui pescare il futuro indirizzo del deposito nazionale. La Cnai dovrà ottenere il via libera del governo (con i ministeri dello Sviluppo economico e della Transizione ecologica) e dell’Isin, la nuova autorità di controllo per l’atomo. Dalla rosa finale di Regioni “idonee” si sceglierà quella che ospiterà il deposito o attraverso un’autocandidatura, o on cuna trattativa.