Monza, i ristoratori: «Manifesto per una legge-quadro, il 40% di noi rischia di chiudere»

I ristoratori fanno ancora i conti con l’emergenza che li sta mettendo a dura prova, il settore paga la chiusure nelle feste. Parla Butticè (Fiepet e Ri.Un.): «Serve una legge quadro: il nostro intento è quello di coinvolgere tutti quei settori che attorno alla ristorazione gravitano».
Vincenzo Buttice
Vincenzo Buttice Fabrizio Radaelli

C’è amarezza. Sconforto. La tensione si avverte nelle parole nettamente scandite. La stanchezza da tono di voce, basso. Oltre la rabbia, i ristoratori si trovano ora in un luogo che non ha più le fattezze del mondo conosciuto fino a marzo, fino al deflagrare della pandemia: «Adesso continuiamo a fare i conti con l’emergenza sanitaria. Poi, post Covid-19, l’intero settore della ristorazione sarà da ricostruire. Completamente. Ma secondo regole tutte diverse».

Così riflette lo chef Vincenzo Butticè, responsabile per l’area di Monza e Brianza di Fiepet, l’associazione che rappresenta i pubblici esercizi di Confesercenti, e co-fondatore, con il ristoratore monzese Eugenio Galbiati, Ri.Un. Ristoratori Uniti, l’associazione nata nelle settimane più nere dell’emergenza sanitaria con l’obiettivo di far fronte comune alle difficoltà del settore.

Difficoltà che si sono acutizzate durante le festività: la chiusura dei locali tra Natale e Capodanno è stata la sciabolata che ha alleggerito di un ulteriore 14% gli incassi annuali già più che dimezzati dell’anno della pandemia.

«Il 14%, tanto valeva il mese di dicembre, in media, per noi. Chiuderemo l’anno con un fatturato che sarà inferiore a quello degli anni precedenti almeno del 70%».
Conti che non tornano e bilanci che rischiano di essere, per molti, ingestibili: «Il 40% delle nostre attività rischia di chiudere presto. L’anno è finito male ed è iniziato, se possibile, peggio». E per fortuna, prosegue lo chef, che si proveniva da anni in cui il settore era in espansione, nonostante «pressioni fiscali eccessive».

Per questo i ristori non bastano: «Il governo dovrebbe prendere spunto da quello che stanno facendo gli altri paesi. Dalla Germania, dalla Francia. E garantire alle attività un pareggio di bilancio al netto della cassa integrazione e delle altre misure integrative».

Intanto, però, i ristoratori non aspettano immobili che qualcosa possa cambiare: a dare una svolta si stanno impegnando in prima persona. Perché con la politica la volontà è quella di dialogare, in maniera collaborativa: «Il nostro intento è di coinvolgere tutti quei settori che attorno alla ristorazione gravitano. Tutti: dalla logistica ai servizi, passando anche per i sindacati e per le risorse umane. E tutti insieme realizzare un manifesto da presentare al governo, con la speranza che possa diventare una legge quadro».

Per riformare l’intero settore: per dargli visione, prospettiva. Strategia. Per dotarlo di tutti quegli elementi, fondamentali, che «negli ultimi trent’anni sono mancati e che ora, nel mondo nuovo che dovremo ricostruire, dovranno essere fondamentali».
Procedure più snelle, norme meno rigide, pressione fiscale ridotta: per arginare la crisi del settore bisogna intervenire su tutti i fronti. «Altrimenti, il rischio è grande: ed è la crisi l’intero settore dell’agroalimentare italiano, che è una delle eccellenze e uno dei punti di forza del nostro paese. E che il mondo della ristorazione assorbe per il suo 40%».