L’arcivescovo Delpini e l’incontro con Luca Attanasio: «Interpretava il servizio diplomatico come una forma di solidarietà»

Il ricordo: «Mentre mi preparavo a far visita ai nostri missionari in Kinshasa l’ambasciatore Attanasio mi ha fatto visita a Milano, perché non sarebbe stato possibile incontrarci in Congo. Era il 7 luglio 2019. Ricordava il suo passato in oratorio, la sua educazione nella comunità cristiana, le radici della sua scelta professionale in una considerazione della fraternità universale. In Congo su di lui ho raccolto solo parole di stima, di gratitudine, di apprezzamento»
L’arcivescovo Mario Delpini
L’arcivescovo Mario Delpini

«È stato ucciso un uomo buono, un diplomatico competente, un giovane intraprendente e, insieme con lui, sono stati uccisi un carabiniere e il loro autista: sono vittime di una violenza incontrollabile e devastante». Così l’arcivescovo della Diocesi di Milano, Mario Delpini, ha commentato l’uccisione dell’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, il limbiatese Luca Attanasio. Delpini ricorda l’incontro con il diplomatico: «Mentre mi preparavo a far visita ai nostri missionari in Kinshasa l’ambasciatore Attanasio mi ha fatto visita a Milano, perché non sarebbe stato possibile incontrarci in Congo. Era il 7 luglio del 2019. Ricordava il suo passato in oratorio, la sua educazione nella comunità cristiana, le radici della sua scelta professionale in una considerazione della fraternità universale che nella sua stessa famiglia si è realizzata». E ancora, ricorda il suo viaggio in Congo: «Quando sono stato a Kinshasa, su di lui ho raccolto parole di stima, di gratitudine, di apprezzamento per il suo modo di vivere la missione, per la moglie e il suo impegno per opere di solidarietà, per il personale dell’ambasciata che rappresenta il governo italiano in Congo. Sono stato a far visita all’ambasciata e quindi ho incontrato i carabinieri che vi prestavano servizio, presumo quindi anche il carabiniere Iacovacci (Vittorio Iacovacci, l’altra vittima con l’autista, Mustapha Milambo). Anche per questo è più profondo e personale il dolore per la morte di persone dedicate al loro dovere, che hanno interpretato il servizio diplomatico come una forma di solidarietà tra i popoli, hanno mostrato la disponibilità a farsi carico della povertà desolante di un Paese ricco di risorse, la rabbia incontenibile di una popolazione troppo tribolata».Dal suo viaggio anche la testimonianza di una situazione particolarmente complessiva di quei territori: «Nella mia visita a Kinshasa i nostri missionari mi hanno descritto una situazione così difficile, confusa e percorsa dalla violenza spietata che insinuava in ogni cosa inquietudine, in ogni iniziativa un senso di precarietà, in ogni evento un pericolo. L’evento tragico che oggi commuove il nostro Paese scuote l’indifferenza che talora ci paralizza, invita alla preghiera che ci apre orizzonti, costringe a pensare e a sentire la responsabilità di mettere mano all’impresa di aggiustare il mondo».