Inizio luglio, come di questi tempi. Allo stadio Sada ci sono 12mila appassionati, l’anno è il 1970. Carmelo Bossi, firma «il suo capolavoro: passato alla categoria dei medi Junior, conquistò il titolo mondiale Wbc e Wba battendo il rissoso americano Freddie Little». Quindici riprese, una scheggia dei oltre 3mila articoli di pugilato scritti in una vita dedicata allo sport e al giornalismo da Claudio Colombo.
La storica firma del Corriere della Sera, già direttore de il Cittadino di Monza e Brianza, amalgama «viaggi, appunti, note sparse su foglietti volanti» nel suo “Cronache da bordo ring” (Edizioni inContropiede, www.incontropiede.it, 180 pagine), perché «la vita di un giornalista è una specie di baule che non si chiude mai».
Colombo comincia a seguire professionalmente il pugilato nel 1984, approdando al Corriere della Sera dalla Gazzetta dello Sport.
Era un 14 febbraio, il giorno in cui 33 anni prima Jack La Motta si arrese a Sugar Ray Robinson, un San Valentino come quello in cui Carlos Monzon gettò dalla terrazza la moglie Alicia. Dolori e gioie del pugilato, scritto quasi sempre al maschile: per Colombo, l’amore per la boxe era scritto nelle stelle. Le stesse che arriva a vedere da vicino volando per i 5 continenti, da quel primo incontro a Portorico: le stesse, che osserva, conosce e narra giù dal ring. Scrive in prima persona, Colombo. E mentre racconta la sua carriera da inviato, le sue parole raccontano il mestiere che ha imparato: con l’eleganza di Marvin Hagler si scansa ed evita di rubare la scena ai protagonisti del quadrato. Così “Cronache da bordo ring” più che una summa di esperienze è un sasso lanciato verso il futuro, verso il sogno di una professione che non c’è già più, ma che non deve smettere di essere ideale da inseguire. C’è l’umana compassione, come quella per Loris Stecca in ginocchio davanti all’avversario, «la campagna di stampa della quale vado fiero» per i benefici economici a un Duilio Loi in difficoltà fisica ed economica. C’è il confronto con il lettore su temi tecnici e interpretazioni e c’è il confronto che non fa sconti e vale uno scontro, ma solo di opinioni. Verità e soggettività, insomma vita. Mike Tyson e Lennox Lewis, Joe Frazier, Sonny Liston e Rocky Marciano, Norton “Mandingo” e “Macho” Camacho. Senza dimenticare Carnera e Benvenuti, con la sua sfortunata preparazione nella Milanello di Nereo Rocco. “Cronache da bordo ring” fila via con una tempesta di capitoli brevi e ben assestati. Spaccati di sport che Colombo sferra con poche parole, ma che arrivano tutte a bersaglio e che il lettore incassa in un assalto senza requie. Le 180 pagine si leggono nel tempo necessario, sino a un paio di decenni fa, per attendere una diretta di boxe da Los Angeles o New York, sulle prime tv a pagamento. «Vincere un match di pugilato era un’arte che non cominciava al suono del primo gong, ma molto, molto prima». E che non si conclude facilmente dopo, nella rincorsa in una classifica sui più grandi, i più forti e i più imparagonabili che è antica quanto lo sport stesso. L’incontro più bello di “Marvelous” contro Hearns, i migliori italiani secondo Bruno Arcari e Rino Tommasi, il più grande peso medio e la graduatoria di Sandro Mazzinghi o quella di George Foreman. «Ogni fuoriclasse, in qualsiasi campo dello sport e della vita, è un esemplare unico, inaccostabile per definizione. Meglio sarebbe dire: Ali è stato un “primus inter pares” con Sugar Ray Robinson, Joe Louis e Rocky Marciano». Da un libro si prende ciò che si cerca, ciò che si vuole. E qui la scelta crea imbarazzo. Del resto, «rivolgo al lettore appassionato di sport – di pugilato in particolare – la richiesta di spartire il mio bottino», scrive Colombo in introduzione. Una “borsa” pugilistica in cui è il lettore a uscirne vincitore.