Col bonsens in maggioranza,/ on paes anmò a l’antiga/ che va avanti cont l’usanza/ da magnà… con la fadiga/ e sfogass cont on quai fiasch,/ son content de vess monsciasch. Angelo Casiraghi indossa la clamide orlata di ostro per celebrare la rinascita ennesima di Monza. Salvata dalle rabbiose rappresaglie tedesche dalla lungimiranza di Giovanni Rigamonti, la città si rimbocca le maniche per recuperare il tempo perduto. Se la guerra ha fatto dimenticare vezzi e fisime da piccola capitale spodestata, resta intatta la smania di sfiancarsi per assecondare il bernoccolo della fatica del lavoro. Ingegnere prestato alla politica, il democristiano Leo Sorteni, ha carisma e ascendente per assicurare la ripresa dopo l’immane mattanza. Nonostante le ristrettezze stringenti del periodo, Sorteni risolleva il prestigio della città risolvendo battaglie campali – al primo posto il pressante bisogno di pane – con la convinzione di essere nel giusto.
Avendo sofferto la prigionia in India, il sindaco ha della libertà un rispetto che sconfina nella deferenza: per questo ha l’intelligenza di mediare tra utopia e prassi, previlegiando l’intesa anziché il diverbio. Affronta di petto il pauroso rosso delle spese ordinarie del Comune, risanando le casse municipali mercé un accorto concordato coi creditori; ristruttura tutti gli edifici scolastici dopo decenni di fatiscenza; sistema la Villa Reale e i suoi giardini inglesi; riapre nell’ala sinistra della reggia la Pinacoteca civica e – infine – approva parzialmente il piano regolatore redatto dall’ufficio tecnico comunale nel 1938. La Monza del primissimo dopoguerra pensa in dialetto e lavora con la stamina di chi si sente parte precipua dell’epocale cambiamento in corso. Siamo 70mila e dispari: tramontata l’industria del cappello, la città s’ingegna a superarsi col robusto contributo olio di gomito. Risorto a vita nuova dopo la seconda guerra mondiale, lo sport monzese riparte dai soliti “califfi” e dai virgulti più promettenti.
A Montreux, l’Italia dell’hockey su pista – guidata dalla triade Zorloni (Monza), Germogli (Triestina) e Ciocala (Novara) – conquista il bronzo iridato, battuta solo da Portogallo e Inghilterra. Il terzino della squadra azzurra è l’inossidabile Luigino Kullmann, che dà l’addio alla Nazionale dopo 12 anni di battaglie. Un giovanissimo Mario Fossati intervista – sulle colonne della Gazzetta dello Sport – tanto autorevole “senatore”: “Kullmann… ha fatto ritorno dal campionato del mondo di Montreux con un occhio chiuso e una guancia gonfia” dopo il tremendo confronto contro i futuri campioni portoghesi, attacca il pezzo. “Il Portogallo ha meritato il titolo?” inziga Fossati. “Più che il Portogallo, l’Inghilterra ha impressionato – sentenza Luigino – Gli inglesi lavorano con tecnica: sono, se così può essere detto, i virtuosi del gioco d’assieme. La precisione, la continuità delle loro azoni sconcertano. Il Portogallo invece domina più con i muscoli che con l’intelligenza; ha gioco moderno, d’attacco. Il titolo fu suo per il rotto della cuffia”. Nella poule finale del torneo di massima divisione, l’Hockey Club Monza deve inchinarsi alla superiorità dell’Edera Trieste di Poser e Tamaro e chiude al quarto posto.
Dopo aver fallito la scalata alla serie B per tre campionati di fila, Lino Camagni molla la carica di presidente dell’Associazione Calcio Monza: in effetti, troppo brucianti le sconfitte rimediate per scucire di nuovo le palanche necessarie per tentare la sorte. Dopo la sconfitta casalinga al San Gregorio contro l’Asti (3-4: non basta la doppietta di Gaddoni), Camagni getta la spugna e licenza seduta stante Luigi Bonizzoni per manifesta incapacità. Il nuovo patron biancorosso è Giuseppe Borghi, per tutti Peppino: industriale di successo – la lana Bbb è il fiore all’occhiello della famiglia – è letteralmente innamorato dei colori belli e sogna di giocarsela alla pari con le formazioni al vertice della cadetteria. Assecondando la preghiera di Aurelio Piazza, che l’aveva ammirato come inarrivabile compagno di squadra a Lecco, Borghi ingaggia per la stagione ‘48/’49 Oreste Barale, fidando dell’intuito di Cò de risott. Alla prova sul campo, Barale fallisce in pieno le aspettative. L’ex centromediano della prima Juventus del quinquennio d’oro gioca d’attacco ma sguarnisce la difesa. Galantuomo di stampo antico, Barale fa fiasco come allenatore. Peppino sbuffa, impreca e maledice il giorno che l’Aurelio gli ha presentato il candido bicciolano.
L’allievo Giorgio Albani, dopo la consacrazione del ’47 (12 vittorie), è l’uomo di punta del Pedale Monzese. Luigi Sardi si coccola “il piccolo asso” dispensando consigli di vita con la consapevolezza di avere tra le mani un potenziale crack. Campione lombardo di categoria e secondo ai “tricolori”, Albani ha suscitato il morboso interesse della Bianchi, che fa carte false per ingaggiare il promettente corridore. Il Maresciallo è troppo scafato per abboccare: va bene tutto, dio bono, ma il ragazzo è ancora acerbo per passare dilettante. Lo scaltro Zambrini abbozza e concede: Albani sarà assistito in corsa dalla stessa Casa milanese. Fatto qualche calcolo, Sardi accetta la proposta. Con un pragmatismo tutto monsciasco, il direttore sportivo del Pedale assicura a Giorgio pubblicità gratuita e l’appoggio tecnico della Bianchi: più di così, ammicca sornione il Maresciallo. Alla fine del ‘48, Albani – dopo un’altra stagione da protagonista – compie il grande passo e passa ai dilettanti. Sistemate le presunte pendenze con la giustizia – il 25 febbraio la Corte d’Assise di Firenze assolve il monzese acquisito dall’accusa di collaborazionismo – Fiorenzo Magni vince il 31esimo Giro d’Italia triturando tutta la concorrenza. Battuto e mortificato, Fausto Coppi si ritira a Brescia adducendo presunte spinte galeotte. La rabbia frustrata dei tifosi di Coppi guasta l’apoteosi al Vigorelli di Fiorenzo. Una selva di fischi ingenerosi ed iniqui accompagna la vittoria finale di Milano. Magni piange lacrime brucianti: abbracciato a Liliana, commenta con rabbia “Non è giusto, non è giusto”.
Il Cittadino Sport di martedì 19 aprile titola in taglio media: Alpinisti in vetrina. Occhiello laconico: Oggioni Andrea e Bonatti Walter. Romolo Berti, segretario della Pell e Oss, traccia il ritratto dei nuovi fenomeni dell’arrampicata monzese: “Nel vivaio di rocciatori del Gruppo Alpinistico “Pell e Oss”, questi due ragazzi diciottenni si sono affermati, in poco tempo, fra i migliori. Infatti, solo nel principio della scorsa annata, il capocordata Oggioni Andrea, di Villasanta, iniziava la sua attività alpinistica seguendo or l’una, or l’altra cordata, apprendendo i primi elementi tecnici di arrampicata dai già esperti rocciatori del gruppo e facendo tesoro soprattutto della passione che li anima. In agosto partecipò al campeggio organizzato alle Dolomiti del Vajolet, compiendo salite interessanti, ma fu al ritorno che, sulla Grigna Meridionale, iniziò, col fidato amico Bonatti Walter, di Monza, lui pure alle prime armi, la più interessante attività”. Nel giro di soli sette anni, Bonatti – segnato al più profondo dalla tremenda esperienza della spedizione nazionale al K2 del ‘54 – realizza in solitaria il capolavoro assoluto dell’alpinismo by fair means conquistando, dopo sette giorni, il pilastro del Petit Dru; Oggioni – nel ’53 – scala in prima assoluta la parete Sud Est del Gran Dietro, nella Brenta Alta, con Josve Ajazzi.
Abbattute le sopraelevate della pista di velocità e la curva semicircolare in prossimità della dirittura d’arrivo – la mitica curvetta – dopo la disputa del Gp d’Italia del 1938, l’Autodromo nazionale viene rivoluzionato – in peggio – prolungando i rettilinei centrale e tribune con due curve di 90 e 60 gradi. Contraddicendo al carattere di pista ultra-veloce, i progettisti incaricati trasformano il “tempio della velocità” in una sbiadita caricatura del circuito semi-permanente dell’AVUS, a Berlino: siamo nel 1940. La cervellotica trovata scandalizza gli appassionati del motore e gli addetti ai lavori. L’AVUS in trentaduesimo entrerà nella storia come monumento della stupidità umana. Per fortuna, resta quasi uguale il tracciato originale: Nuvolari, Varzi e Guidotti provano l’inguidabile Alfa Romeo 512 a motore centrale, progettata dallo spagnolo Wilfredo Ricart ricalcando le Auto Union di Ferdinand Porsche e Robert Eberan von Eberhorst, e Alberto Ascari collauda la Bianchi 500 cc a tre cilindri. Poi, dopo l’entrata in guerra dell’Italia fascista, l’autodromo sparisce dai radar della storia. Dopo la parata dei carri Sheridan del generale Clark nel giugno ’45, l’esercito alleato – subentrato agli occupanti tedeschi – ha la dubbia trovata di ammassare sul tracciato monzese il più imponente campo di concentramento dei residuati bellici automobilistici d’Europa.
Quando, nel ’47, il campo Arar viene finalmente smantellato, l’Autodromo è ridotto ad una desolata distesa di rovine. Luigi Bertett, presidente dell’Ac Milano, si mette le mani sui capelli: altro che riapertura, qui si respira aria di cimitero. Lo sconforto dura un attimo. Assecondando il carattere tostissimo dell’uomo, Bertett ha la forza di pensare positivo. Ordina una ricognizione a tappeto della pista e delle strutture sussidiarie e – sorpresa – i danni ammontano “solo” a 100 milioni di lire. Sventata la squallida manovra che avrebbe spostato l’autodromo vicino all’Idroscalo, il capataz dell’Acm stacca una cambiale al destino ordinando il via alla ricostruzione dell’impianto motoristico forte dell’appoggio convinto dei Comuni di Monza e Milano: “Forse sono un pazzo: ma domenica 17 ottobre, il Gran premio dell’Autodromo sancirà la rinascita dell’impianto brianzolo”. Senza un briciolo di sosta, viene rettificata la curva della Roggia, si ampliano le curve di Lesmo e si riasfalta tutto il tracciato. E poi, con uno sforzo titanico nella situazione di drammatica emergenza del Paese, si mette mano alle nuove tubature per l’acquedotto e ai nuovi cavi per gli impianti elettrici e telefonici. Martedì 5 ottobre Consalvo Sanesi, collaudatore dell’Alfa Romeo, gira per la prima volta sulla rinnovata pista di Monza: il test è superato a pieni voti. Da giovedì 14, venti macchine di Formula 1 (motori 4500 cc aspirati o 1500 cc con compressore) iniziano a girare per le prime prove ufficiali. La corsa si svolgerà su 80 giri dello “stradale” nuovo di pacca di 6,300 chilometri.
I prezzi del 1° Gran Premio dell’Autodromo sono più che abbordabili: tribuna d’onore 3.500 lire, tribune e recinti tribune 2.000 lire, prato 400 lire, vetture 200 lire. Per evitare ingorghi, vengono assegnate percorsi dedicati per “le auto provviste di biglietto, le auto non provviste di biglietto, gli autobus e le auto pubbliche e i pedoni”. La corsa è abbinata alla Lotteria Italia con “103 cospicui premi in danaro, di cui il primo non inferiore a lire 25 milioni”. Numerosi sono pure “i premi turistici: 70 orologi da polso, 17 rubini, offerti dalla ditta “Vetta”; 80 cassette di liquori, offerte dalla Dita Gio Buton & Co., di Bologna” e via dicendo. Per assicurare al meglio l’evento, sono cinque le porte d’accesso al circuito: Lesmo, la Santa, Monza, San Giorgio, Villa Reale e Vedano. La tramvia Milano-Monza e la linea ferroviaria sono presti d’assalto dai milanesi in truscia per l’inaugurazione del circuito. “La corsa sembra già cominciata alla “Villa Reale”, dove c’è un imbottigliamento di macchine da non si dire. Camions, pulmann, vecchie carcasse antidiluviane, sgargianti fuori serie: tutti cercano di passare avanti, ne si può dire che siano molto disciplinati. Lo ottimo servizio d’ordine stradale e la perfetta organizzazione hanno però la meglio e tutti se la cavano, tutt’al più con qualche parafango ammaccato” annota lunedì 18 l’articolo del Cittadino Sport a firma di Vittorio Caraffa.
“Alle 11.05 in punto giunge il corteo delle autorità”, con il ministro dei Trasporti, Corbellini, accompagnato dal “Presidente dell’Automobile Club Bertett, dal Direttore di corsa Covacivich, dal Prefetto di Milano, dai Sindaci di Milano e Monza, dal Questore di Milano ed altre autorità”. Scoperto il bassorilievo di San Cristoforo e la targa dedicata ad Arturo Mercanti che sono state benedetti da Monsignor Rigamonti, il corteo “si dirige verso il nastro inaugurale, che viene tagliato dall’On. Corbellini. Ha luogo, poi, il giro d’onore delle autorità presenti; presenti, tra i vincitori dei Gran Premi precedenti, Salamano, Chiron, Nuvolari, Fagioli, Caracciola e Von Stuck. Terminata la sfilata entrano in pista i vessilli dei vari Paesi ai quali appartengono i venti concorrenti: Argentina, Francia, Inghilterra, Svizzera e Italia”. Le quattro Alfa Romeo “158” sono affidate – rispettivamente – a Jean Pierre Wimille, Carlo Felice Trossi, Consalvo Sanesi e Pietro Taruffi; le otto Maserati a Alberto Ascari, Bucci, Ashmore, Nello Pagani, Gigi Villoresi, De Graffenried, Parnell e Brooke; due Ferrari a Nino Farina e Raymond Sommer; la Era di Harrison e le cinque Talbot a Chiron, Chaboud, Comotti, Levegh e Girard-Cabantous.
“Al “via”, dato dal Marchese Brivio, scatta in testa Wimille seguito da Sommer, Trossi, Sanesi, Farina, Taruffi e tutti gli altri. Velocissime le macchine guizzano sul rettilineo delle tribune scomparendo poi dietro la prima curva. Ed ecco comparire, piccolo punto rosso che ingrandisce in un baleno, la prima macchina che sta compiendo il primo giro: è l’Alfa di Wimille, che ha girato a 2’8” e 4/5. La segue già distante la Ferrari di Sommer e, più indietro, Trossi, Ascari, Farina e Villoresi, Già in netto svantaggio le Talbot Francesi e la Era dell’Inglese Harrison”. Al terzo giro Trossi, “forzando leggermente l’andatura, supera Sommer, portandosi in seconda posizione. Wimille, che va fortissimo aumenta a vista d’occhio il suo vantaggio. Al 5. Giro le posizioni sono le seguenti: 1) Wimille in 10’20” 4/5 alla media di Km. 182.667, 2) Trossi in 10’39”, 3) Sommer in 10’40”, 4) Sanesi in 10’41””.
Si profila così “una entusiasmante lotta per il 2. posto tra Trossi, Sommer e Sanesi. Al 7. giro invece Sommer, che aveva benissimo impressionato, è costretto al ritiro, da un attacco di asma, lasciando campo libero alle Alfa che domineranno ora, incontrastate, da un capo all’altro della corsa. Al 10. Giro è sempre in testa Wimille, seguito da Trossi e Sanesi che si alternano al 2. Posto. Farina con la sua Ferrari con una ottima condotta di gara, si mantiene al 4. posto. Le Maserati di Ascari e Villoresi danno l’impressione di essere meno veloci delle Alfa e delle Ferrari, ma marciano assai regolarmente. Intanto cominciano le prime fermate ai boxes; il primo ad arrestarsi, per noie alle candele, è l’inglese Parnell, su Maserati, che riparte dopo due minuti circa. E’ poi la volta dell’inglese Harrison, su Era, che perde battistrada delle gomme posteriori. Si fermano, poi, Brooke, Ashmore e De Graffenried tutti su Maserati, per noie alle candele ed alle gomme che, evidentemente, subiscono un logorio fortissimo a causa delle alte medie”.
Al 17. giro, Wimille stabilisce il record sul giro, in 2’01” 4/5, alla media di Km. 186,820. Nulla di nuovo, intanto, nelle prime posizioni. “Le Maserati di Villoresi ed Ascari perdono terreno, mentre le Talbot della Scuderia “France” sono praticamente eliminate dalla lotta per i primi posti. Al 23. giro Wimille migliora il suo primato con 2’01” 1/5 alla media di Km. 187,129. Al 26. giro le Alfa, che hanno compiuto la prima parte della gara con una regolarità ammirevole, iniziano a fermarsi ai boxes, a turno, per rifornimento e cambio delle ruote posteriori. Primo ad arrestarsi è Wimille che perde cos’ 50 secondi. Poi è la volta di Trossi e Sanesi che perdono rispettivamente 44 e 43 secondi. Wimille intanto riprende il comando, che aveva ceduto per qualche giro a Sanesi. A sua volta il 4. pilota dell’Alfa, Taruffi, cambia le ruote posteriori perdendo 1’05”. Al trentacinquesimo giro dopo che anche Farina, Villoresi ed Ascari ha fatto rifornimento la classifica è la seguente: 1) Wimille in 1.13’28” alla media di Km. 180,819, 2) Sanesi in ore 1.14’28” 1/5, 3) Trossi in 1.14’26” 2/5, 4) Farina in 1.16’12” 2/5, 5) Taruffi in 1.18’28” 4/5”.
Si ritirano, ora, De Graffenried su Maserati e Levegh su Talbot. “Al 45. giro la classifica vede Trossi al 2. e Villoresi al 5. posto. Poi rifanno rifornimento le 4 Alfa Romeo, senza però che la classifica dei primi posti subisca altri mutamenti. Al 50. giro il n. 12 Farina, che ha compiuto una magnifica gara, è costretto al ritiro per un guasto alla trasmissione. Scompaiono così dalla corsa le Ferrari che, tuttavia hanno benissimo impressionato. Si ritira poi anche Villoresi per un guasto ad una valvola, lasciando al compagno di squadra Ascari il compito di difendere l’onore della Maserati. E’ quindi Chiron, che brucia la guarnizione della testata, ad abbandonare. Siamo al 60. giro ed ormai le Alfa Romeo sono praticamente rimase sole in gara. Intanto comincia a piovere e quasi tutti i concorrenti rallentano a causa della pista che diventa sdrucciolosa. A questo punto Trossi passa all’attacco: ci portiamo sulla curva di Lesmo ed abbiamo modo di ammirare la magnifica tecnica dell’asso dell’Alfa Romeo che aumenta l’andatura, guadagnando sensibilmente sul suo diretto avversario e compagno di squadra Wimille. Frattanto la macchina di quest’ultimo comincia ad avere delle noie alla accensione sì che Trossi, che come abbiamo detto era passato decisamente all’attacco, riduce sempre più il suo svantaggio dando, ad un certo momento, l’impressione che possa verificarsi, negli ultimi giri, un inatteso colpo di scena. Ma siamo alla fine e mentre Wimille taglia vittorioso il traguardo, Trossi, nonostante la sua magnifica gara, deve accontentarsi del secondo posto, meritatissimo. Lo seguono nell’ordine Sanesi e Taruffi che hanno pure compiuto un’ottima gara. Ascari è quinto e sesto Chaboud, primo dei francesi. Ed ecco la classifica ufficiale: 1) Wimille (Alfa Romeo) che compie i 504 chilometro in ore 2.50’44” e 2/5, 2) Trossi idem, in 2.51’27”, 3) Sanesi idem, in 2.52’24” e 2/10, 4) Taruffi idem, in 2.52’28” e 3 quinti (fermato al 77 giro), 5) Ascari (Maserati) in 2.52’38” (fermato al 75 giro). Seguono: Chaboud (Talbot), Bucci (Maserati), Harrison (Era), Ashmore (Maserati) e Pagani (Maserati). Giro più veloce: il 60. di Sanesi on 2’00”e 2/5, alla media di 188,372”.