Villasanta ritrova la sua storiaEcco il Museo di arte sacra

Villasanta ritrova la sua storiaEcco il Museo di arte sacra

Villasanta – Sono i colori a catturare l’occhio, non appena si fa un passo oltre la soglia del Muas, il museo di arte sacra della parrocchia di Villasanta che ha aperto le porte sabato. I colori, per nulla intimiditi dalle linee semplicissime con cui è stata costruita la grande teca, il museo, che racchiude il tesoro della chiesa di Sant’Anastasia.

Un passo oltre la soglia, i colori non solo stupiscono e indirizzano lo sguardo alle decorazioni ricamate dei paramenti, o alla veste originale del vescovo Oggioni, o agli intrecci candidi dei pizzi di Cantù, ma avvertono anche che qui è custodito un prezioso pezzo di storia del paese che torna indietro fino al Cinquecento, pur concentrandosi in gran parte sul Sette-Ottocento.

Vesti e stole e stendardi, al piano terra. «Tutti sistemati, in alcuni casi ricostruiti», dice don Ferdinando Mazzoleni, che spiega come le creazioni più pregiate, in seta, abbiano per difetto la leggerezza: nel tempo, non regge il peso del filo da ricamo e allora bisogna rivolgersi a botteghe artigiane. È il caso di una stola di un verde inaspettatamente acceso: in origine bianca: il suo disegno è stato riportato per intero su un nuovo tessuto.

Sono serviti quattro mesi per scegliere e collocare le opere in mostra, solo parte della collezione parrocchiale – ma il catalogo di trecento pagine la comprende e cataloga per intero – un anno per la costruzione della struttura, che sorge proprio accanto alla chiesa, al posto di alcune case ormai diroccate.

La sala superiore ospita reliquiari del diciassettesimo secolo – non c’è quello della Croce, le dimensioni non lo permettevano – gli ornamenti della statua della Madonna, alcuni volumi: una stampa del 1546, le cronache della parrocchia scritte da mani diverse, e la prima è del 1548. Un testo persiano donato alla parrocchia come l’uovo pasquale dalla città di Arcangelo: argento, smalto e dentro, una natività in miniatura. Alle pareti, la prima opera di Panfilo Nuvolone, stampe francesi dei dodici apostoli, icone del Seicento. «Molti degli oggetti che sono esposti in questa sala – aggiunge don Mazzoleni, indicando per esempio alcuni ostensori – si usano ancora oggi. Questo non è un museo di cose morte. L’idea di questo luogo è quella di far conoscere a tutti la bellezza di quel che vi è esposto e di favorirne la conservazione. Negli armadi le condizioni non sono ideali». Conoscere, guardando da vicino: «La gente di solito li osserva da lontano – aggiunge – ma da lontano non si può prestare attenzione ai dettagli e alla loro bellezza».
Letizia Rossi