Villa Reale: consorzio ok, ma patti chiari

Monza ritorna ai tempi antichiTornano i fontanili dell’acqua

In consiglio comunale si è incominciato a discutere, pare seriamente, della questione del consorzio per la Villa Reale che si trascina dietro e dentro anche il Parco e di conseguenza l’autodromo. Era ora, e, quel che è più importante è che si voglia «venirne a una» come si dice dalle nostre parti. Ovvero decidere.
Il busillis di tutta la vicenda sta in due punti: il consorzio doveva, o deve?, o dovrebbe? (lo vedremo) comprendere il Comune di Monza, il Comune di Milano (che ha un conticino da pagare da 3,8 milioni di euro), la Regione (che è comproprietaria della Villa) e il Ministero dei Beni culturali (che pure è padrone di un pezzo del complesso) Orbene i timori, già espressi anche da chi scrive qualche settimana fa, è che Monza che è la titolare della parte più cospicua del patrimonio da portare nel consorzio, ancorchè malridotto, rischiava, o rischia?, o rischierà di far la fine di quei de la Mascherpa o di restare con «du cucumer e un peverun», in quanto con quattro soci si fa presto a finire in minoranza. Anche se il presidente del consorzio dovesse essere il sindaco.
L’altra questione è. come sempre, quella dei «danèe»: chi ci mette i quattrini che servono al restauro della Villa che, secondo il progetto Carbonara sono almeno 106 milioni di euro ma alla data ormai di qualche anno fa? Risposta semplice semplice: l?Expo 2015, altrimenti il Comune di Milano che ci viene a fare. E giù con i milioni di euro che potrebbero arrivare: 30, 40, sì, la «pegura la canta». Allo stato attuale la Regione ha accantonato 5 milioni per quest’anno, il Ministero 1, sì proprio uno, Milano -3,8 ovvero i suoi debiti e Monza Comune ci deve pensare, saggiamente. Perchè la saggezza popolare insegna che «l’è mei un puresin in man che una pola all’ari».
Detto questo in queste settimane e mesi, malgrado la Regione, soprattutto, e anche il sindaco Mariani abbiano fretta di chiudere, s’è discusso non poco a tutti i livelli, anche dentro la maggioranza di centrodestra al governo della città. Premesso che l’Expo è sicuramente una bella occasione e anche un bel traguardo da raggiungere anche per la Villa Reale, concesso che per sistemarla ci vogliono anche Regione e Stato, si trattava e si tratta di superare i timori e gli ostacoli sin qui enumerati.
Per cui si è pensato, opportunamente e saggiamente, di allargare il consorzio alla Camera di commercio di Monza e Brianza da una parte e alla Provincia di Monza e Brianza che sarà pienamente operativa fra tre mesi dall’altra. In questo modo si raggiungono due obiettivi: il primo e più importante è che su sei soci, tre sicuramente stanno dalla parte di Monza e la garanzia di un maggiore equilibrio è assicurata.
In secondo luogo i due nuovi, in tutti i sensi, enti coinvolgono nella vicenda anche quella Brianza che, vuoi perchè Monza l’ha sempre tenuta alla larga (sbagliando) vuoi perchè ha sempre scantonato (sbagliando pure essa), sin qui della Villa Reale non s’è mai occupata e tantomeno preoccupata.
L’altro obiettivo è che sia la Camera che la Provincia qualche quattrino da investire sul territorio ce l’hanno e dunque il «tesoretto» con il quale andare a cercare i finanziamenti necessari per il restauro è sicuro. Anzi, se i sei enti consorziati con pari diritto di voto in consiglio di amministrazione (ovviamente lottizzato e si spera poco o nulla remunerato) ci mettessero 2,5 milioni di euro a testa per 10 anni sfido qualsiasi banca a non concedere fido, mutui o prestiti o vattelapesca con 150 milioni garantiti.
Conti della serva o da sprovveduto giornalista a digiuno di ragioneria e finanza creativa? Può darsi ma la matematica è pur sempre questa. Ovviamente la condizione è che Camera di commercio e Provincia MB entrino a pieno titolo nel consorzio ovvero siedano da subito nel cda e decidano insieme agli altri soci. Altrimenti chi glielo fa fare di metterci i quattrini, magari più degli altri. Si dice: come si fa ad impegnare un ente, come la Provincia che non c’è ancora? Risposta: si prendono i candidati e probabili presidenti (sperando che il centrodestra si decida) e li si fa firmare pubblicamente una dichiarazione di intenti. Voglio vedere chi si tira indietro.
Il consorzio così articolato avrebbe oltretutto un peso politico, amministrativo ed economico non indifferente su tutti i tavoli, ivi compresi quelli che ruotano attorno all’autodromo. Il quale già con tre gare internazionali perse e un Gran Premio di Formula 1 a rischio costante e crescente di «scippo» se non di furto con destrezza o rapina da parte di Roma, non è che abbia un luminoso futuro. Orbene la Sias deve fare la sua parte e il navigato presidente Viganò lo sa bene, ma anche il resto della compagnia non può limitarsi a giocare a briscola o a tresette col morto. Il che vuol dire che a Roma bisogna rispondere picche sul piano politico, anche se il sindaco si chiama Alemanno è di An e An deve fondersi con Forza Italia per diventare Pdl e con la Laga fanno maggioranza. Fin qui solo gli uomini del Carroccio si sono fatti sentire, dagli altri alleati del governo monzese solo flebili belati.
E chi pensa che anche due Gran Premi in fondo ci possono stare si sbaglia ma di grosso. Al di là delle cosiddette compatibilità economiche, va a finire che siccome si potrebbe correre a Roma nel 2011, ovvero nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia come minimo quel Gp, per rispetto alla capitale dovrà chiamarsi per l’appunto Gran Premio d’Italia con buona pace del nostro che diventerà Gran Premio di Monza e che nel breve volgere di qualche anno finirà per scomparire. Anche perchè la torta di sponsor e indotto non è enorme, non monta come la panna e anzi va verso tempi bui. Ma mentre Roma comunque, in quanto capitale, i soldi li avrà, troverà e riceverà sempre (vedi i 500 milioni all’anno a babbo morto senza patto di stabilità) qui da noi si debbono sudare e produrre lavorando. Si sistemi dunque il consorzio e si incomincerà anche a contare di più e in tutti i sensi.
Luigi Losa