Roma, Arcore e villa San MartinoTrent’anni fa l’omicidio Casati

Roma, Arcore e villa San MartinoTrent’anni fa l’omicidio Casati

Arcore – Lunedì 30 agosto, quarant’anni fa: sei spari in sequenza, sei fucilate con un Browning da caccia, cambiano il destino di una delle più importanti famiglie d’Italia e di Arcore. Era il 1970 e solo quattro giorni prima mezzo milione di ragazzi avevano raggiunto l’isola di Wight per il secondo più grande festival rock della storia. Quattro giorni dopo Salvador Allende avrebbe vinto le elezioni in Cile. Da lì a due settimane, in Italia, le Brigate rosse sarebbero improvvisamente comparse in cronaca con il primo attentato, alla Siemens. Ma quella domenica d’agosto, poco dopo le 19, a Roma, via Puccini, la storia della famiglia Casati deviò con sei colpi di fucile il suo destino: i primi cinque per uccidere Anna Fallarino e Massimo Minorenti, l’ultimo per l’omicida, Camillo Casati Stampa di Soncino, che si fece esplodere la testa.

Il matrimonio- Sono i nomi del dramma più torbido della Repubblica, con tutti gli elementi per tenere incollati ai giornali gli italiani per mesi, come accadde: nobiltà, ricchezza, sesso, i sentori della decadenza, sangue. Il marchese, “Camillino”, aveva sposato Anna Fallarino nel 1959, di due anni più giovane, allora trentenne. Un matrimonio alle spalle per entrambi, annullato dalla Sacra Rota, una figlia per lui, avuta dalla moglie precedente. Il racconto di quegli undici anni di matrimonio arrivò presto sotto gli occhi di tutti, dopo il delitto: lo aveva raccontato lo stesso marchese, erede anche di villa San Martino ad Arcore, in un diario dalla copertina in raso verde, in cui annotava quella eretica vita di coppia. Nessun rapporto sessuale con la moglie: la sua soddisfazione la trovava nel guardare lei con altri uomini, cacciati di notte o di giorno così come faceva nei boschi con le prede, per poi pagarli dieci, ventimila lire, a volte di più. «Oggi Anna mi ha fatto impazzire di piacere. Ha fatto l’amore con un soldatino in modo così efficace che da lontano anch’io ho partecipato alla sua gioia. Mi è costato trentamila lire, ma ne valeva la pena», si legge in una delle tante note di quel registro verde del marchese.

I rapporti – Non era stato il fondo di una desolazione privata: quegli incontri erano iniziati immediatamente, la prima notte di luna di miele, quando la sposa aveva accettato la volontà del marito. Scrive Vincenzo Cerami in “Fattacci”: il marchese «dopo avere quasi spinto il ragazzo nel bagno (un camierere d’albergo, ndr) era rimasto in un angolo a osservare la scena». E «la donna accettava l’amore cerebrale e impotente del marito». «Anna è stata splendida, ha capito subito» annotò poi Camillo Casati. Dieci anni così, una vita pubblica impeccabile, la vita privata passo a passo corrosa dalla nevrosi di un ménage erotico distorto. Che aveva evidenze solo per i più intimi, i camerieri, loro che osservavano la donna negli anni affidarsi ai farmaci per dormire, loro che hanno fatto i conti con gli scatti d’ira improvvisi e devastanti del figlio della nobiltà italiana.

L’amante – Ma il 1970 cambia le carte in tavola: è l’anno dell’incontro della marchesa con uno studente fuori corso, Massimo Minorenti, 25 anni, pariolino, amante della bella vita. E delle belle donne. Non è più l’amore, la carne di un’ora, è qualcos’altro. Iniziarono a vedersi di nascosto, a sentirsi, telefonarsi, frequentarsi. Le lettere della marchesa recapitate per mani sicure. Il marito vede e capisce. E scrive. «Perché è così perfida? Non sopporto più questa situazione», sibila a inchiostro nel diario. La “situazione” è la rottura del patto silenzioso: l’amore, i sentimenti, sono per loro, i marchesi Casati, il resto per gli altri. Mese dopo mese la tensione sale. Finché alla fine di agosto Camillino è lontano da via Puccini, la residenza romana. Anna Fallarino è a casa con Minorenti. Il marchese telefona una, due, tre volte: e ogni volta l’amante è nella sua casa. Il filo è strappato. Dà appuntamento a entrambi per il giorno successivo, per «chiarire le cose». Due colpi di Browning per lei, uno al braccio, uno al volto, il terzo ormai inutile alla gola, seduta in poltrona. Due per lui, uno alla schiena mentre cercava di farsi scudo con un tavolino, poi alla nuca una volta a terra. Il sesto il marchese lo tenne per sé, dopo avere ricaricato il fucile: le canne sotto la gola, la testa esplosa nella stanza.

Ad Arcore – A centinia di chilometri resta villa San Martino, la villa che fino al 1955 era stata la casa del conte Alessandro Casati. Una biblioteca immensa, 10mila volumi, una pinacoteca straordinaria, un edificio del Settecento che accoglieva periodicamente l’amico Benedetto Croce. Una delle tante proprietà del blasone Casati, destinata con il resto ad Alfonso, che però morì nel 1944 vicino a Corinaldo, combattendo contro i nazisti. Camillo, nipote di Alessandro, la ottenne perché parente più prossimo. Ci visse poco, con la prima e con la seconda moglie, nei quindici anni che fu a sua disposizione: qualche settimana in estate, perché l’inverno si passava a Roma, e solo quando non era sulle coste o a Zannone, vicino a Ponza, isola di sua proprietà. Una reggia teatro soprattutto della sua passione per la caccia. Magari con quel Browning calibro 12 che il 30 agosto del 1970 sterminò tre vite e la dinastia Casati.
Massimiliano Rossin