Ci sono volte in cui l’immaginazione, anche la più fervida, viene superata dalla realtà. Quella che viene discussa in questi giorni nelle aule di giustizia di Monza è una vicenda per cui si fa fatica trovare l’aggettivo adatto: squallida, torbida, raccapricciante. Come purtroppo è facile intuire in casi del genere, la vittima è un adolescente. L’accusa è di violenza sessuale e produzione di materiale pedopornografico, reati avvenuti, secondo il capo di imputazione, in un appartamento della zona. Vista la minore età della vittima, non forniremo dettagli tali da poterla in qualche modo rendere riconoscibile.
Gli imputati sono un uomo e una donna, ma nel caso era coinvolta anche la madre del giovane. Una donna a cui i Servizi sociali avevano tolto i figli, anche se per il ragazzo vittima degli abusi era poi stato deciso il reinserimento graduale in famiglia. Il processo è attualmente aperto davanti ai giudici del tribunale di Monza. Due persone alla sbarra. Non la madre del giovane, ritenuta incapace di sostenere il giudizio per via delle condizioni psichiche molto problematiche. Secondo la ricostruzione effettuata dalla pubblica accusa, rappresentata dal sostituto procuratore Alessandro Gentile, il ragazzo sarebbe stato vittima di ripetuti abusi sessuali nella casa di famiglia da parte della madre e da una amica della stessa, residente in un vicino paese ma che, per problemi personali, era stata ospite a casa della famiglia.
Di questi abusi sarebbero anche state scattate alcune fotografie col telefonino cellulare. Immagini inviate a un uomo di Bergamo (l’altro imputato del processo) che, sempre in base alle tesi dell’accusa, avrebbe avuto un ruolo attivo nella vicenda poiché avrebbe espressamente chiesto che le fotografie venissero scattate in determinate pose. Una circostanza, quest’ultima, che ha indotto il pubblico ministero a contestare l’accusa di concorso in violenza sessuale anche al bergamasco (e non solo quella di produzione e detenzione di materiale pornografico), proprio perché l’uomo avrebbe istigato le donne a commettere gli abusi. Il tutto all’insaputa del marito della donna inizialmente sotto accusa e poi prosciolta perché considerata non imputabile.
Sullo sfondo, una situazione umana e sociale fortemente disagiata. Il nucleo familiare, in origine, comprendeva padre, madre e tre figli, tutti allontanati dai Servizi sociali per "inidoneità genitoriale". Decisione che stava parzialmente rientrando per il figlio più grande, che all’epoca del fatto avrebbe avuto poco meno di 16 anni. I racconti del giovane ai Servizi sociali, però, hanno svelato il terribile scenario, facendo partire l’indagine condotta dai carabinieri della stazione di Besana. L’inchiesta è poi sfociata nel processo (rigorosamente a porte chiuse) davanti al collegio presieduto dal giudice Italo Ghitti, attualmente alle battute iniziali.
La prossima udienza è fissata ai primi di dicembre. Tra i testimoni potrebbe comparire anche la madre del ragazzo (nel frattempo definitivamente allontanato dalla famiglia), anche se, viste le condizioni psichiche della donna, la testimonianza potrebbe essere messa in discussione dagli avvocati della difesa.
Federico Berni