Monza – Come un banchetto prelibato ha bisogno di un’adeguata tavola per essere valorizzato, così anche la splendida mostra «Caravaggio l’arte al servizio della Parola», inaugurata lo scorso 10 aprile nell’auditorium della chiesa di Triante, è stata corredata e arricchita da tre conferenze, corollario prezioso e puntuale alle opere esposte. Dopo l’esordio con Elisabetta Cagnolaro e Daniele Cappelletti, lo scorso mercoledì è stata la volta di Annamaria Clivio e Barbara Villa, che hanno presentato, suddivisa in due “puntate” la figura di Caravaggio, raccontando in parallelo la sua vicenda umana e l’immenso genio artistico.
Su «Il contesto e i maestri», si è concentrata la prima delle due conferenze tenute dalla Clivio, insegnate di letteratura, restauratrice e guida turistica, e dalla Villa, laureata in scienze dei beni culturali, guida turistica e presidente dell’associazione Morphosis, entrambe curatrici scientifiche della mostra di Triante. «Caravaggio si discosta dai suoi contemporanei per l’utilizzo di modelli veri – ha spiegato Barbara – e questo negli anni gli è rimasto attaccato come una sorta di marchio. Veniva accusato di essere poco originale, un pittore senza idee proprio perché per lui era necessario partire dalla realtà». Una realtà che poteva essere serena e rassicurante ma anche cupa e cruda, ma che sotto i tratti vigorosi delle sue pennellate assumeva la consistenza quasi divina.
«Caravaggio è stato in grado di dipingere le espressioni del momento, cogliendole nell’attimo esatto in cui si svolgevano. E questa è una chiara influenza leonardesca, con i sui studi sulle espressioni dello sguardo – ha continuato Annamaria Clivio». Pittore senza idee, per alcuni contemporanei, ma anche senza schemi. Anche la sua predilezione per le nature morte lo discosta dal gusto del tempo. «La natura morta era considerata un soggetto di serie B, proprio perché non si rifaceva agli schemi classici», continua la Clivio. Altra caratteristica della sua pittura è il colorismo veneto, che si discosta dal contorno delineato dei corpi che fu tipico di Michelangelo, e di cui Giorgione fu uno dei massimi esponenti. Un Caravaggio, quindi, figlio inevitabilmente di chi lo ha preceduto, dei maestri che lo hanno influenzato ma dai quali ha saputo trarre caratteristiche rielaborate dal suo ingegno. «Tutto questo è evidente nel periodo romano, dove Caravaggio ripropose gli stessi personaggi michelangioleschi, calati all’interno di un contesto reale».
S. Val.