Concorezzo – La storia emblematica è quella di Franca e Giulio. Sposati, stesso lavoro, stessa fabbrica, due figli a carico, un mutuo, la rata della macchina. L’equilibrio economico della famiglia regge fino a quando regge quello dell’azienda. Poi arriva la crisi e la ditta mette in cassa integrazione a rotazione tutti i dipendenti. Da qualche mese in otto (l’organico completo è di 13 persone) tornano a lavorare con una certa regolarità, mentre cinque lavoratori, tra cui Franca e Giulio, restano quasi sempre a casa. C’è di più: lo stipendio, già ridotto, ad un tratto non arriva più. L’Inps non rimborsa l’anticipo della “cassa” alla ditta e l’azienda si rifiuta di anticipare ancora i soldi ai lavoratori. Risultato: salta la trattativa con i sindacati e i dipendenti indicono uno sciopero di 8 ore.
E’ il film andato in scena alla fine della scorsa settimana a Concorezzo, davanti allo stabilimento della Febo, azienda per stampaggio di materie plastiche di via Primo Maggio 20. Franca si chiama Basile, ha 36 anni, mentre Giulio di cognome fa Borsani, e di anni ne ha 45: vivono a Concorezzo e insieme hanno due figlie, una di 17 anni e l’ultima di appena 17 mesi. Ad agosto, in busta paga, hanno preso 300 euro a testa, mentre a settembre non hanno ricevuto nemmeno un centesimo.
«Ci è stato spiegato dall’azienda che non potremo più ricevere i soldi della cassa integrazione perché l’Inps è in ritardo – dice Giulio Borsani – La morale è che, trovandoci da novembre dello scorso anno in questa situazione, non riusciamo più a provvedere alla nostra famiglia. Pur avendo un lavoro, i nostri rispettivi genitori devono fare la spesa per dar da mangiare ai nostri figli. Mi chiedo fino a quando andrà avanti questa situazione e, soprattutto, chi pagherà il mio mutuo e le mie bollette». Secondo Moreno Sala, sindacalista Fiom Cgil di Monza, la Febo non avrebbe rispettato la rotazione della cassa integrazione stabilita al tavolo delle trattative.
«Sono quasi sei mesi che in azienda lavorano sempre le stesse persone – spiega il rappresentante di categoria – Su sei stampatori, ad esempio, vengono chiamati in fabbrica sempre e solo gli stessi tre».
Per dimostrare solidarietà ai colleghi, i dipendenti hanno incrociato le braccia per 8 ore. «Vedremo quali mosse attuare nei prossimi giorni se la situazione dovesse non evolversi», anticipa Sala.
Il titolare della ditta, Dario Fedeli, respinge le critiche. «Non c’è discriminazione verso i dipendenti – ribatte – Il fatto che vengano chiamati o no a lavorare dipende dalle specificità professionali di ognuno, a seconda delle esigenze della fabbrica». E aggiunge: «Lo sciopero dei lavoratori è sacrosanto ma forse, anziché stare qui fuori, dovrebbero andare tutti davanti all’Inps. Essendo al di sotto dei 15 dipendenti non ho l’obbligo di anticipare la cassa integrazione ai lavoratori. L’ho fatto finora, ma sono sei mesi che l’Inps non mi rimborsa. E non posso pagare più».
Erika Camasso