Giussano, «la mafia in Brianza c’èChiudere gli occhi non serve»

Giussano, «la mafia in Brianza c’èChiudere gli occhi non serve»

Giussano – Il Nord come il Sud. Denominatore comune: la mafia. Con una differenza: al Nord la gente ha vergogna ad ammetterlo. Perché s’infanga il territorio, perché l’industria immobiliare verrebbe svalutata, perché ci si accorge che c’è solo quando si vede un cadavere per strada. Al Sud è battaglia aperta, dichiarata da anni. Al Nord, in Lombardia e in Brianza, è la lotta delle Procure, dei carabinieri, della Guardia di finanza ma non di tutta la gente. Per combattere le cosche criminali serve una battaglia della politica e della società civile. Non di quella politica che fa la guerra solo ai narcotrafficanti o ai latitanti di vecchia data e poi elimina, come strumento di indagine iniziale, le intercettazioni, ma di un’azione che non consenta connivenza e convivenza e mantenga sano il territorio. Perché se un calabrese mafioso viene al Nord per “business” ha bisogno di un lombardo che lo inserisca in un tessuto socio-economico di suo interesse. Lo hanno detto, martedì sera in Villa Sartirana, Enzo Ciconte, che da una vita studia le mafie e in particolare la ‘ndrangheta, Marco Fraceti e Gianni Barbacetto, ospiti dell’incontro “Viaggio in Brianza tra mafia e politica. Chiedendo legalità” organizzato dalla Federazione della Sinistra Monza e Brianza.

Boss con carta d’identità di Giussano
– Non a caso a Giussano, ritenuto «uno dei Comuni più “penetrati” – dice Fraceti – insieme a Desio e Seregno. Aveva la carta d’identità, forse trafugata o forse falsificata, con il timbro del Comune di Giussano Francesco Pelle, considerato il boss della cosca calabrese ritenuta responsabile della faida che ha portato alle stragi di San Luca e di Duisburg, trovato dai carabinieri ricoverato sotto falso nome in una clinica di Pavia. Dei 100 miliardi di euro “ripuliti” e fatti rientrare in Italia, il 70 per cento è stato “scudato” al Nord e 15 miliardi in Brianza». Terra ricca, dunque, “appetitosa”, la Brianza. Gli affari sono tanti, gli uomini della ‘ndrangheta e di Cosa nostra si spartiscono droga, appalti, ristoranti, discoteche e, se qualcosa non va, si tira grilletto. Come due anni fa a Verano, quando sul selciato restò il corpo martoriato di Rocco Cristello. Gli episodi vengono raccontati «ma da parte della società civile vengono tutti interpretati come scollegati – ha detto Barbacetto -. Se al Sud è difficile trovare qualcuno che dica che la mafia non esiste, al Nord non lo si vuole ancora ammettere».

Non basta acciuffare qualche latitante
– Il problema, dunque, non è risolvibile solo acciuffando qualche latitante: «Se ci si illude che l’infiltrazione mafiosa – spiega Ciconte – sia un problema del Sud ci si sbaglia di grosso e se non ci togliamo subito le pezze dagli occhi sarà troppo tardi. Al Nord la ‘ndrangheta ha fatto il salto di qualità e, soprattutto ora che ci troviamo nella crisi economica, potrebbe tentare di inserirsi maggiormente nel tessuto economico con l’acquisto di imprese e società in difficoltà. La ‘ndrangheta impara a mimetizzarsi, avendo una struttura che ha il suo asse portante nei rapporti familiari. Questa struttura è stata in grado di attutire i colpi devastanti che i “pentiti” hanno dato a Cosa nostra, ha funzionato come un efficiente freno per chi avesse avuto anche solo qualche velleità di collaborare: un mafioso calabrese che dovesse decidere di collaborare dovrebbe, per prima cosa, parlare dei più stretti congiunti: il padre, il fratello, lo zio, il cugino».
Federica Vernò