Per volontà della vedova di Arturo Vermi (1928-1988), Anna Maria Vermi, finalmente si è costituito ufficialmente l’Archivio Arturo Vermi con sede a Monza presso la Leo Galleries in via De Gradi 10. Archivio che è parte integrante dell’Associazione Arturo Vermi, istituzione che vive e programma attivamente il suo lavoro tramite il sito continuamente aggiornato, con le mostre sull’artista già fatte o da programmare nel prossimo futuro, le pubblicazioni e la bibliografia recente, le regole sull’archiviazione delle opere e l’autenticazione delle medesime e le new varie.
L’Archivio Arturo Vermi ha un comitato scientifico composto dal professore Carlo Franza, ordinario di storia dell’arte moderna e contemporanea, giornalista, critico d’arte de Il Giornale e perito del tribunale di Milano; la signora Anna Maria Vermi, vedova ed erede dell’artista Arturo Vermi; e la dottoressa Simona Bartolena, storica dell’arte. Non dimentichiamo che l’archivio d’artista è di fatto un’istituzione privata o pubblica dinamica, scientifica e impegnata costantemente nell’aggiornamento, nell’organizzazione e conservazione delle tracce della vita e della personalità di un artista e ne promuove la conoscenza della figura e dell’opera.
Resta che dietro gli archivi d’artista non ci debbano essere gallerie di basso profilo, o gallerie in genere o mercanti, ma comitati scientifici di storici dell’arte, di critici di vasta esperienza, di intellettuali di forte portata. Per altre soluzioni o casi tutt’ora aperti in Italia è meglio dire “Associazione amici di …” che non vuol dire affatto archivi d’artista. L’Archivio Vermi ha inoltre già avviato domanda per far parte dell’Associazione italiana archivi d’artista, la cui sede è a Milano presso il Museo del Novecento; e l’obiettivo della stessa è tutelare e valorizzare i lasciti di autori che spaziano da Giorgio Morandi a Filippo de Pisis, passando per Pinot Gallizio, Ennio Morlotti, Enrico Prampolini, Bruno Cassinari, Remo Bianco, Gianni Dova, Cesare Andreoni, Michelangelo Pistoletto e altri ancora.
Tutto ciò per mettere in sicurezza e rendere più trasparente il mondo dell’arte, garantirne la memoria e la valorizzazione degli artisti italiani di ieri e di oggi mettendo a sistema nuove specifiche normative e procedure; questo l’obiettivo della Associazione Italiana degli Archivi d’Artista, che si propone di operare in ambito sia nazionale sia internazionale, tessendo una rete che mette in dialogo collezioni e archivi pubblici e privati, centri studi, accademie, grandi musei d’arte moderna e contemporanea.
Nasce da qui la volontà di mettere a regime i comportamenti virtuosi e scientificamente qualificati nelle attività degli Archivi nel rilascio di certificati di autenticità, nella redazione e nell’aggiornamento dei cataloghi ragionati e documentari dell’opera di ogni singolo autore e, qualora ne sussista la reale legittimazione, nella certificazione di attestazioni di autenticità. Arturo Vermi, figlio della Brianza e figura chiave dell’arte italiana del secondo dopoguerra, sta vivendo un’attenzione non comune in quest’ultimo periodo, anche grazie alla recente Mostra dal titolo “Arturo Vermi. I ritmi del segno”(2020) che ho personalmente curato presso il Circolo del Ministero degli Esteri a Roma cui fa capo anche la Collezione Farnesina (presenti sia l’Ambasciatore Umberto Vattani che ha fondato e istituito la famosissima Collezione Farnesina, sia l’Ambasciatore Gaetano Cortese, chè il Ministro Plenipotenziario Luigi Vignali della Farnesina e Presidente del Circolo Esteri-Roma).
Non va dimenticato che curato dal collega Luciano Caramel, qualche tempo fa è già uscito il primo catalogo ragionato delle opere di Arturo Vermi (Bergamo, 1928 – Paderno d’Adda, 1988); ne presenta l’opera creativa dell’artista Arturo Vermi tra impegno nell’arte e vissuto esistenziale. Il primo volume vive suddiviso in nove sezioni, ognuna corredata da note che la introducono, presenta una serie di opere -presenti nel collezionismo- note documentate e illustrate, adottando il criterio di procedere, -come suggerito nel 1983 dallo stesso Vermi in una Lettera aperta-, “come in un calendario, cercando di spiegare almeno i motivi contingenti e sociali che hanno motivato la ricerca”.
All’attivo oggi, l’Archivio sta procedendo ad altre verifiche, autenticazioni e certificazioni onde procedere al secondo catalogo ragionato. Intanto nel primo catalogo si parte dal periodo informale, dagli anni di inizio (anni ’50) del lavoro dell’ artista, in cui viene presentata la vera ricerca del segno quale “interprete dello spazio”, ricerca ossessiva, figura iconica. Poi dai segni dei primi anni ’60 di Lavagne e Lapidi, questa gestualità diventa sempre più ordinata per approdare ai Diari, un linguaggio pittorico minimale, ossificato, ridotto ai minimi termini, il segno è incisivo e protagonista, si ripete con sequenze che scandiscono la superficie pittorica al punto da poter essere interpretato come scrittura.
Con il proseguire del suo lavoro, il segno è visto da Vermi come un tratto sempre più minimale, dai “Paesaggi leggeri e irrazionali”, alle tele monocrome segnate ora da un’asta verticale nelle “Presenze”, ora da due linee parallele in basso a destra nelle “Figure in uno spazio tempo”, ora da una linea orizzontale parzialmente incurvata a ricordo dell’onda del mare nelle Marine. Non va dimenticato che nel ’62 Arturo Vermi è attivo nel Gruppo de Il Cenobio con Piero Manzoni, amico e compagno fraterno, con quale condivide nel suo studio di Via Fiori Chiari idealità e accensioni; dalla metà degli anni ’60 la sua opera risente della vicinanza di Lucio Fontana, stimolo per approfondire il concetto di spazio, ovvero “lo spazio al di fuori della terra, lo spazio cosmico”.
Da qui, gli “Approdi”, in cui lo spazio diventa cosmico e il colore luce con l’applicazione di foglia oro e argento; poi gli “Inserti”, in cui lo spazio strasborda dalla struttura dell’opera, grazie all’inserimento nella tela di tavole dorate o argentate; e infine le “Piattaforme”, gli “Esodi” e i “Frammenti”, in cui la luce domina su tavole ricurve ricoperte da foglia oro, argento e grafite. Dopo aver eseguito un ciclo di opere dedicate agli astri nelle “Lune” e alle relazioni umane nei “Colloqui”, l’attenzione di Vermi si sposta verso una poetica di felicità, espressa nella rivista “Azzurro”, di cui è stato ideatore e direttore, e nel “Manifesto del Disimpegno” del 1978. La sua ultima opera, “L’Annologio”, ne è esempio “un misuratore dei tempi più umano, più in sintonia con i nostri tempi”, svela l’artista. Un orologio che compie un giro di un anno come la Terra intorno al Sole e che non suddivide la vita umana in frazioni, con conseguenti obblighi, doveri e imposizioni.
Quella di Arturo Vermi è un’opera aperta che parla ancora oggi, che conserva la memoria del tempo, che vive nella ricerca di uno spazio interstiziale tra pittura e scultura, i segni di Vermi sono scansioni del tempo, assoluti, estensivi, totali, che attraverso il mondo tra passato e futuro segnano la vita dell’uomo, e diventano infine il pensiero che traccia lo spazio, finalmente campo di partecipazione attiva.
Carlo Franza
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Nato nel 1949, Carlo Franza è uno storico dell’arte moderna e contemporanea, italiano. Critico d’arte. È vissuto a Roma dal 1959 al 1980 dove ha studiato e conseguito tre lauree all’Università Statale La Sapienza (lettere, filosofia e sociologia). Si è laureato con Giulio Carlo Argan di cui è stato allievo e assistente ordinario. Dal 1980 è a Milano dove tuttora risiede. Professore straordinario di storia dell’arte moderna e contemporanea (Università La Sapienza- Roma) , ordinario di lingua e letteratura italiana. Visiting professor nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e in altre numerose università estere. Giornalista, critico d’arte dal 1974 al 2002 a Il Giornale di Indro Montanelli, poi a Libero dal 2002 al 2012. Nel 2012 ritorna e riprende sul quotidiano “Il Giornale” la sua rubrica “Scenari dell’arte”.