Monza – Alla fine aveva ragione Novecento: non sei fregato veramente finche? hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla. Nella “Leggenda del pianista sull’oceano” Alessandro Baricco la frase l’aveva messa in bocca a Max Tooney, l’unico in grado di fare mettere i piedi a terra alla vita del pianista. Perche? Novecento no: lui avrebbe passato tutta la sua vita a bordo di una nave, da una parte all’altra dell’Atlantico, suonando una tastiera. Bruno Zanzottera i piedi a terra li ha messi mille volte e continuera? a farlo, ma quella frase sembra sua: «E? morto il fotogiornalismo? Io credo di no. Almeno fino a quando hai una buona storia da raccontare. E se la storia e? davvero buona, qualcuno disposto ad ascoltarla si trova».
Ne sa qualcosa, il monzese. D’altra parte la prima volta che ha lasciato l’Italia per un reportage fotografico aveva diciassette anni o poco piu?: aveva fatto qualche viaggio nell’arcipelago britannico, gli piaceva la cultura celtica, era stato a Dublino seguendo le tracce di James Joyce o dei vichinghi nelle Shetland. Meta? anni Settanta, giu? di li?, lui era nato a Monza in un dicembre di fine Cinquanta. Poi era stato l’amore vero: l’Africa. «Volevo fare un servizio nella zona dei Touareg, sul massiccio al centro del Sahara, in Algeria. Li? si arriva con una sola strada percorribile dalle auto. Ma avevo anche conosciuto dei ragazzi francesi che portavano le auto in Africa, vecchie auto, per rivenderle la?. Allora l’ho fatto anch’io: e? cosi? che ho pagato i miei primi servizi fotografici».
Quelli che poi negli anni sono comparsi sulle riviste naturalistiche italiane, sui magazine specializzati. Da allora non ha piu? smesso: perche? se ogni tanto si concede servizi in Italia, in Sudamerica o in Canada, negli Stati uniti o altrove, be’, alla fine torna sempre li?, sotto il Mediterraneo. «E poi e? successo che i giornali hanno iniziato a conoscermi e a considerarmi specialista dell’Africa», motivo in piu? per tornarci a scoprire storie, raccontare persone. L’ultima volta giusto dieci giorni fa, in Ruanda, dove con l’agenzia che ha fondato insieme ad altri quattro fotoreporter sta preparando un reportage su Hutu e Tutsi, perche? nel 2014 saranno passati vent’anni dal genocidio. «Oggi nessuno in Ruanda puo? piu? dire Hutu e Tutsi, si puo? parlare solo di ruandesi – racconta – ma le differenze ci sentono ancora, sotterranee. Mi sono occupato soprattutto della nazionale di sitting volley (pallavolo da seduti, per chi ha perso o non ha mai avuto l’uso delle gambe, ndr) dove si incontrano la storia di un uomo di origine Hutu e uno Tutsi. Forse un giorno sono stati l’uno contro l’altro».
L’agenzia, gia?: si chiama ParalleloZero e l’ha inventata nel 2007 insieme a Alessandro Gandolfi, Sergio Ramazzotti e Davide Scagliola, poi il cerchio si e? allargato e oggi hanno diversi fotoreporter che collaborano. Vendono i servizi in Italia e all’estero «e funziona – dice – Certo la crisi si fa sentire, ma non nel fotogiornalismo: la crisi e? dell’editoria, e sono convinto che la prima colpa siano le scelte suicide degli editori, e soprattutto quelli italiani, che hanno scelto di non occuparsi piu? dei loro lettori, ma dei loro inserzionisti pubblicitari». Ora Zanzottera lavora soprattutto con riviste come Geo, National Geographic, Focus, Oggi e Panorama Travel, «partendo anche da un progetto che io penso possa essere venduto, ma soprattutto da un’idea che mi incuriosisce, da una storia che sento nelle mie corde. Verso la fine di aprile riparto» e sara? ancora Africa, questa volta per un progetto documentaristico anche video su un lavoro che aveva gia? realizzato: la rotta delle murrine che da centinaia di anni collega Venezia al Ghana, dove le murrine erano tesori e merce di scambio e dove una popolazione le considera un tesoro familiare.
«Esiste li? una cerimonia di iniziazione delle ragazze in cui all’inizio sono seminude e vengono poi progressivamente coperte di collane colorate fino a essere vestite». Poi una volta il mondo che aveva scoperto se l’e? trovato vicino a Milano, a Baranzate, dove in poche vie vivono famiglie di decine di nazionalita? diverse. «E? servito un anno intero per portare a termine il servizio», ricorda mentre riepiloga mentalmente le centinaia di persone incontrate in decenni di fotografia. «Un uomo, per esempio, tra Eritrea ed Etiopia, il punto del pianeta in cui la crosta terrestre e? piu? bassa. Fa caldissimo. Li? vive una popolazione che ha fama di essere formata da guerrieri feroci. ”Odiano gli uomini”, ti dicono. Tre di loro ci avevano accompagnati per decine di chilometri per raggiungere un vulcano e alla fine il loro capo, prima di tornare, aveva chiesto di essere pagato perche? non sarebbe tornato con noi. Ma la guida aveva risposto che non era possibile, che i soldi erano nell’auto, a quaranta chilometri. ”Pago io”, avevo detto. Ma il loro capo aveva risposto: no, lei e? un ospite, non puo? pagare. E aveva rifatto il viaggio di ritorno a piedi con noi».
Cinque o sei mesi all’anno avanti e indietro per il pianeta, con l’unico cruccio che poi, in fondo, sarebbe meglio poter fare dei viaggi lunghi e restare altrettanto tempo a casa, mentre i tempi obbligano a fare un po’ per volta, interropendo e riprendendo un servizio. «E a volte capita di svegliarsi e non sapere piu? esattamente dove ci si trova».
Massimiliano Rossin