Antonio Scaccabarozzi: l’artista (e filosofo) dell’acqua

L’Arsenale di Iseo dedica all’artista concettuale Antonio Scaccabarozzi un’antologica che celebra la lunga e personale ricerca fondata sulla relazione con l’acqua: come elemento dell’arte e come poetica.
L’allestimento a Iseo
L’allestimento a Iseo

Non può passare inosservata la mostra preziosa che l’Arsenale di Iseo ha in corso, un’importante esposizione antologica dedicata all’artista italiano e brianzolo Antonio Scaccabarozzi (Merate, 1936-Santa Maria Hoè, Lecco, 2008), protagonista della ricerca Concettuale degli anni Settanta e rivoluzionario inventore di nuovi linguaggi pittorici (arte ambientale) tra gli anni Ottanta e il nuovo Millennio.

La mostra grazie al Cda dell’Arsenale, all’Archivio Antonio Scaccabarozzi, alla curatrice Ilaria Bignotti con Camilla Remondina e la Galleria Clivio Arte Moderna e Contemporanea, Milano-Parma. “L’arte non ha epoca. È l’emozione che dorme su guanciali d’eternità.” (A. Aschiarolo) osserva Cristina de Llera Consigliere Comunale delegato alla Cultura del Comune di Iseo.

Sin dal titolo, ovvero “Acquorea”, nello stesso tempo pittorico e scultoreo, ma meglio dire installativo, visto che di installazioni la mostra vive, si legge visivamente l’indagine dell’artista, la sua ricerca assoluta, la sua relazione con l’acqua, intesa non solo quale materiale presente in gran parte delle sperimentazioni, ma anche come riferimento teorico e progettuale della sua poetica. Una mostra che vuole essere anche un omaggio alla prestigiosa sede lacustre ospitante questo progetto, destinato a portare a Iseo una vasta rassegna dei principali cicli pittorici di Scaccabarozzi, con mirata attenzione a quelli in cui l’elemento acquoreo, come componente costitutivo dell’opera o come allusione cromatica, è fondamentale.

Antonio Scaccabarozzi: l’artista (e filosofo) dell’acqua
Una delle opere in mostra

Antonio Scaccabarozzi è stato un artista silenzioso, un filosofo, un uomo di pensiero, un ricercatore, un artista “autre”, apparentemente isolato, frequentatore di Lucio Fontana e Carlo Carrà,  e che dalla fine degli Anni ’60 ha definito programmaticamente un piano di lavoro basato su un metodo rigoroso, destinato a tradursi in cicli di opere dove proprio la tensione tra il perseguimento della regola e il suo necessario superamento dà risultati inattesi e di novità rispetto allo scenario europeo. Dalla Brianza era sceso a Milano all’età di 15 anni e mezzo, come lui amava  sovente precisare  e quindi nel 1951, a lavorare come apprendista fotolitografo. La città era appena uscita dalla guerra, e qui troverà  varie sistemazioni abitative: cameroni comuni per lavoratori venuti da fuori (“vegnù gio’ cun la piena”), dormitori gestiti da preti, una camera presso una signora che possiede tantissimi gatti in via Alzaia del Naviglio.

Spettatore attento degli avvenimenti artistici di quegli anni, frequenta il quartiere di Brera e fa schizzi dei vari personaggi che incontra come Carlo Carrà e la moglie. Per un periodo abiterà proprio in via Brera. Conosce da vicino quelli che diventeranno, un giorno le grandi icone  dell’avanguardia artistica, Piero Manzoni e Lucio Fontana. È testimone di scene bizzarre ed aneddoti al bar Giamaica. Lui, ragazzo lavoratore e studente serale incontra anche, e ritrae spesso, l’altra Milano, quella del proletariato operaio che si muove in altri luoghi, più verso Porta Ticinese, luoghi molto diversi di quelli intellettuali di Brera.

Scaccabarozzi, diplomato pittore,  abilissimo e abituato  a costruire tutto ciò che gli serve per esprimere e realizzare la propria arte. Mentre i suoi compagni di studio e di viaggio  entrano nell’ambiente della decorazione ad altissimo livello, lavorando a fianco del grande e noto architetto Mongiardino, Scaccabarozzi decide di percorrere un’altra strada, quella dell’arte. Dopo Parigi, Londra dove, tra un’avventura e l’altra, studierà la lingua inglese a Stratford on Avon; poi un lungo soggiorno in Olanda e, per finire, un viaggio lunghissimo attraversando la Spagna. I lavori di quegli anni sono chiaramente influenzati dalle grandi correnti d’arte parigine del tempo. Molte sue tele hanno riferimenti a Hans Arp e Fernand Lèger. Quando torna a Milano abita per un breve periodo al Quartiere delle Botteghe di Sesto San Giovanni, negli alloggi che l’imprenditore edile  Valadè concede agli artisti in cambio di opere e qui conosce e ritrova conoscenze; tutto il mondo artistico di quegli anni passa o frequenta il Quartiere delle Botteghe dove, tra accese discussioni, liti epocali, rappacificazioni e bevute storiche si dispiega il panorama dell’avanguardia artistica milanese.

Antonio Scaccabarozzi: l’artista (e filosofo) dell’acqua
Una delle opere in mostra

Scaccabarozzi non farà mai parte dell’ambiente dell’Accademia di Brera ma lavorerà in parallelo ai grandi artisti milanesi degli anni ’60; molti di loro suoi amici e con loro esporrà soprattutto in Germania. I lavori del primo periodo del suo rientro in Italia riguardano la tematica dell’Equilibrio Statico-Dinamico, arrivando a toccare, ma raramente, anche forme di oggetti cinetici. La creazione di  movimento-luce  sarà il motivo che porterà alla nascita di elementi posizionati sulla tela e spinge Scaccabarozzi ad agire con la fustella praticando sulla tela piccoli (o più grandi) elementi incisi, ecco i “fustellati”; poi il successivo sviluppo assumerà il titolo di “Prevalenze”, punti, dapprima monocromi, poi colorati, disposti sulla tela o tavola in un ordine che segue una definizione matematica; con Paolo Minoli e Nato Frascà, forma il gruppo di Interrogazione Sistematica.

Incontra una personalità che sarà determinante per lui, Antonio Calderara che fornisce il passaporto alle opere di Scaccabarozzi: Fustellati e Prevalenze partecipano a tantissime mostre all’estero. Stabilitosi definitivamente nel suo paese natale, Merate, Scaccabarozzi diventa noto come il pittore dei “puntini”. Nel percorso della mostra a Iseo i cicli dell’artista; anzitutto nelle tre sale della mostra le opere dedicate alle “Immersioni” (primi anni Ottanta), dove l’artista ebbe modo di verificare il potere di assorbimento di colore ( in linea con Hsiao Chin ed anche con le carte assorbenti di Antonio Massari) diluito in acqua e con le tele non preparate, ottenendo campiture dove una parte è dominata dal colore assorbito e disteso e una parte dal vuoto e dall’assenza, alle “Iniezioni” (primi anni Ottanta), dove con l’uso di peculiari siringhe Scaccabarozzi verifica la diversa reazione del supporto rispetto alla densità dei liquidi cromatici iniettati in esso, creando reti e punti cromatici di ipnotica bellezza. Sono poi esposti i cosiddetti “Acquerelli”, lavori dove l’artista sigilla simbolicamente il colore diluito in acqua in una bottiglia, affiancandolo a opere dipinte col medesimo liquido, come una mappa misteriosa consegnata ai superstiti di un’arte futura.

Antonio Scaccabarozzi: l’artista (e filosofo) dell’acqua
Una delle opere in mostra

Il percorso prosegue con le opere realizzate fino al nuovo Millennio con e sui fogli di “polietilene trasparente o colorato”: membrane plastiche che Scaccabarozzi ora trasforma in superfici dove liberare la pennellata di colore, le “Quantità libere” (1982-1990); in altri casi, il polietilene colorato o trasparente è sagomato e tagliato, a formare barriere e squadrature del campo visivo: l’artista si interrogava, fine anni Novanta, sul problema del “vedere attraverso” e dei limiti e le potenzialità della visione. Il grande ritorno alla “plastica” avviene alla fine  degli anni Novanta, con la trasparenza, di quello che si vede e si percepisce “di qua” e quello che sta “di là”, i fogli di polietilene vengono trattati come se fossero strati di colore, fluttuano nello spazio, appesi e tenuti in ordine da un sottilissimo filo di nylon.

Il corpo della pittura, steso su superficie trasparente, fa vedere il colore isolato e l’artista viene spinto a creare un amalgama di colla e colore che, quando asciuga,  diventa qualcosa come l’ossatura della quantità; queste opere vengono chiamate “essenziali”, ed esposti principalmente in Germania. A metà anni 2000 il pittore, sente il desiderio di tornare alla pittura. Le “velature”, colore ad olio dato a sottilissimi veli su un colore di base steso su tela o cartone telato potrebbero essere l’omaggio a un illustre suo antenato. Dalla sua mostra, appuntamento imperdibile, uno sguardo sulla storia dell’arte e della cultura italiana del Secondo Novecento.

Carlo Franza

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Antonio Scaccabarozzi: l’artista (e filosofo) dell’acqua
Una delle opere in mostra

Nato nel 1949, Carlo Franza è uno storico dell’arte moderna e contemporanea, italiano. Critico d’arte. È vissuto a Roma dal 1959 al 1980 dove ha studiato e conseguito tre lauree all’Università Statale La Sapienza (lettere, filosofia e sociologia). Si è laureato con Giulio Carlo Argan di cui è stato allievo e assistente ordinario. Dal 1980 è a Milano dove tuttora risiede. Professore straordinario di storia dell’arte moderna e contemporanea (Università La Sapienza- Roma) , ordinario di lingua e letteratura italiana. Visiting professor nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e in altre numerose università estere. Giornalista, critico d’arte dal 1974 al 2002 a Il Giornale di Indro Montanelli, poi a Libero dal 2002 al 2012. Nel 2012 ritorna e riprende sul quotidiano “Il Giornale” la sua rubrica “Scenari dell’arte”.