Alle sorgenti della BrianzolitudineEcco cosa resta di questa terra

Alle sorgenti della Brianzolitudine ci sono i bulloni e la torta paesana. E un misterioso incrocio di terre che è Three Brianza Corners. Dove le Brianze di tutto e di niente diventano una: per riscoprire se queste terre esistano ancora e con loro i loro brianzoli, abbiamo fatto un viaggio. Con Renato Ornaghi.
Alle sorgenti della BrianzolitudineEcco cosa resta di questa terra

In questo momento di incertezze e di sfaldamento progressivo dei microcosmi sociali e culturali, causa avvento massificante della globalizzazione, sempre più spesso mi sento porre la seguente domanda: possiamo ancora oggi, nel 2012, ragionare ancora su un’idea coerente e unitaria di Brianza? Possiamo stilare oggi una lista di valori e di categorie dello spirito che siano tali da poter definire gli abitanti di questo impalpabile territorio brianzolo, originalissimo ambito sociale che la Storia ha perfidamente spezzettato non su due, ma ben tre Province: Monza, Como e Lecco?

Davvero una bella domanda, questa. Proprio ora, in un momento storico nel quale l’omologazione culturale pare ridurre il paesaggio brianzolo a una mera periferia nord-milanese e nel quale l’infiltrazione della ‘ndrangheta e delle varie mafie si è ormai ben stratificata e ramificata, parrebbe proprio che la risposta alla questione appena sopra formulata debba essere un sonoro NO.

La Brianzolitudine è morta, dicono in tanti. Eppure, eppure… Pensiamoci bene: anche se gli sbandamenti identitari del nostro territorio sono conclamati (complice l’azione dei media, soprattutto della televisione) e se pure i confini della Brianza fisicamente non esistono, qualsiasi persona del territorio che interpellerete, ancora oggi vi saprà dire se egli si senta brianzolo o meno. C’est à dire: un’identità brianzola esiste ancora, nonostante tutto. Forse non tutto è perduto, forse definirsi brianzoli ha ancora un suo senso e significato. E allora, come andare alle ricerca delle radici, delle sorgenti della Brianzolitudine che è in noi e, questo sentimento identitario?

Interpellato dal Cittadino per capire se sia ancora possibile dare una definizione di “Homo Sapiens Brianzolus”, ho pensato di farvi fare una spedizione esplorativa (virtuale) in un luogo della Brianza, dove ri-scoprire di due prodotti tipici del nostro terroir. Prodotti assai diversi tra loro e che tuttavia incarnano alla perfezione l’identità brianzola che andiamo cercando, prodotti che – nonostante tutto, nonostante la globalizzazione, la crisi, la Cina e l’India, ecc. ecc. – sono ancora lì a farci capire che l’idea di Brianza esiste ancora, più forte e più viva che mai. Preparatevi alla spedizione, voglio portarvi da novelli Livingstone alle sorgenti della Brianzolitudine e lassù scoprire il primo di quei due prodotti emblematici. Vi faccio dunque diventare esploratori invitandovi a indossare mentalmente il cappello con zanzariera e posare mentalmente lo sguardo su una cartina geografica della Brianza: immaginiamoci i confini delle tre Province che la contengono.

Guardateli bene, noterete che esiste un singolo punto geografico dove le tre Province di Como, Lecco, Monza (e le relative tre Brianze) si toccano simultaneamente. Un punto particolarissimo, che io di solito chiamo “Three Brianza Corners” (punto dei tre angoli della Brianza, si trova qui). Questo “Three Brianza Corners”, punto unico del territorio sul quale insistono le tre Province brianzole si toccano, è un luogo emblematico, sorgente di quella Brianzolitudine che tanto vogliamo ri-scoprire, esplorare e analizzare. Nessuno lo ha mai considerato per quello che è, e credo nessuno l’abbia mai considerato – pur vedendolo fisicamente – per quello che simboleggia.

Varrebbe davvero la pena di organizzare un’esplorazione reale al “Three Brianza Corners”, come novelli Amundsen con la bussola in mano; una spedizione nella Brianza nera alle sorgenti di quel Nilo che è il nostro Lambro e là piantarvi la bandiera del Cittadino. Guardiamolo un po’ meglio, questo punto assai particolare. Su di esso cadono tre Comuni brianzoli: Veduggio con Colzano (MB), Nibionno (LC) e Inverigo (CO). Sono queste tre comunità nelle quali la Brianza è davvero ancora profonda e nera: hic sunt brianzoleones. Sono, questi, tre paesi dove vegeta ancora assai più di un pizzico di quella identità che andiamo cercando. In quella zona (in particolare nel Comune di Veduggio, dove vi condurrò a breve) siamo davvero nel nocciolo duro della nostra terra.
Lassù la Brianza è tale, e forse più che altrove la si sente, si palpa, si annusa nell’aria. E’ fatta di un misto di sguardi di persone, di campanili cresciuti tra case e opifici, di architetture tipicissime nella quali l’abitazione si con-fonde col capannone, di colori di vegetazione su infiniti gradi di verde, di un dedalo di strade che anche chi le conosce non sa mai bene – nel percorrerle – se porteranno ancora nel medesimo posto. E che qualcosa di molto brianzoeu vi fosse da queste parti, lo notava– solo pochi anni fa –chiunque percorresse in auto la Superstrada Milano-Lecco, in direzione nord. Poche decine di metri prima dell’uscita di Veduggio con Colzano, in mezzo a un campo sulla destra troneggiava una vite di bullone enorme, smisurata, alta almeno una decina di metri.

A simboleggiare che qui, a Veduggio, è il bullone che la fa da leone. Eccovi qui dunque servito il primo prodotto identitario e simbolico della nostra Brianzolitudine, Yin e Yang brianzoli: il bullone, composto dalla vite maschia e dal bullone femmina, è qui a raccontarci ciò che la Brianza rappresenta, oggi. La terra dei mille mestieri e delle mille professioni, della creatività assoluta associata alla voglia di fare il prodotto perfetto al punto di perderci ore e ore sul lavoro fino a tarda ora, ha nel bullone di ferro una delle sue sintesi più eccelse. Avete presente quegli enormi cartelloni pubblicitari a sagoma di toro che una volta si incontravano per strada in Spagna? Ecco, il bullone “bull-one” è il “bull”, il toro simbolico brianzolo. Sarebbe quasi da rifilmare a Veduggio la mitica scena iniziale de “Ufficiale e Gentiluomo”, quando il sergente cattivo chiede alla recluta: “Tu da dove vieni?” E alla risposta: “Dalla Brianza, Signore!” godersi la fantastica replica del sergente: “Due sole cose vengono dalla Brianza: checche e bulloni. Non sarai per caso una checca!?!”. Ridiate o non ridiate a questa facezia, tenete però presente che in Brianza il bullone l’ha fatta e la fa davvero da padrone. Dalle parti del “Three Brianza Corners” due aziende la Agrati e la Fontana – leader mondiali indiscusse del settore – producono esattamente lo stesso prodotto, il bullone per l’appunto.

Destinazione finale dei bulloni: tutto il mondo. Queste due aziende sono davvero a pochissimi metri di distanza l’una dall’altra e quando a Veduggio con Colzano diventi grande e decidi di andare lavorare devi scegliere, come la squadra del cuore. Da Agrati o da Fontana, è una scelta irreversibile. Cosa vuol dire questo, trasposto nella Brianzolitudine? Vuol dire che anche oggi in Brianza scegliere un lavoro equivale quasi sempre a scegliere una famiglia: non solo l’Agrati o la Fontana, ma una delle tantissime Famiglie-Prodotto che hanno fatto la storia, felicemente caratterizzato per decenni e decenni il modo di fare lavoro e società in Brianza. Famiglie-Prodotto che hanno avuto e hanno tuttora – nonostante tutto – la forza di andare nel mondo, a imporre la Brianza way-of-life. E sempre per stare dalle parti del Three Brianza Corners, mi raccontava un amico di Renate che qualche estate fa, per cambiare veramente aria decise di farsi una vacanza in Australia. E laggiù, nel deserto centrale australiano, nella cittadina più vicina ad Ayers Rock, entrò in un negozio di souvenirs per acquistare qualche regalo da portare a casa. Notò delle esotiche cinture appese, ne scelse una. Stava appunto per comprarla quando per fortuna all’ultimo si trattenne: Aveva letto sul retro della griffe la cruciale scritta: “Made in Italy – Veduggio”.

State iniziando a capire cosa voglia dire davvero, essere brianzoli? Ma ora, avanti. Se ancora non vi siete stancati, vi conduco al secondo prodotto emblematico: la torta di pane e latte, o torta mich e lacc, come meglio si dice in Brianza. Questo dolce, più comunemente detto “torta paesana”, è un vero prodigio di inventiva della povera gente che, non potendo permettersi profitteroles, meringate e crostate varie, si è affidata in passato e si affida tuttora a questo miracolo culinario, che recupera e valorizza al meglio gli avanzi di cucina. In particolare gli “avanzi” per eccellenza, quelli del pane, per produrre un dessert sublime nella sua semplicità. Perché uno degli elementi che hanno caratterizzato la Brianzolitudine, ricordiamolo sempre, è sempre stato un sentimento di viscerale attenzione e rispetto del cibo, quasi che nei nostri cromosomi ci sia rimasto il ricordo della fame atavica dei nostri nonni.

Una genialata brianzola, la torta paesana: dico brianzola perché, anche se è vero che la torta paesana la si può trovare anche nel milanese p nella bergamasca, nulla come questo dolce caratterizza lo spirito di inventiva che aleggia nel Brianzashire, capace di trasformare un problema in opportunità, una miseria in festa. Anche voi siete della scuola brianzola per cui non si butta niente? Soprattutto il pane. Succedeva ieri nelle nostre cucine, e succede anche oggi. Sarà che da piccoli ce lo hanno ripetuto un miliardo di volte, sarà la crisi, sarà quel che sarà, ma quando si hanno sei o sette panini secchi nella dispensa (mai buttare il pane, farlo sarebbe offesa alla divina Provvidenza!) niente di meglio che metterli a bagno nel latte per qualche ora e oplà!, con pochi altri ingredienti, ecco realizzata la torta mich e lacc, per la gioia dei grandi e dei piccini. Una ricetta vera non esiste, e meno che meno un disciplinare. Perché esistono tante ricette di torte mich e lacc quante sono le famiglie che abitano questa terra brianzola. Ognuno l’ha imparata dalla propria mamma e la ricetta si tramanda così, senza ricettari che la riscrivono.

Serviss minga: non serve. Valore del folklore, nel senso migliore del termine. E’ una torta ecumenica, comunitaria: essa grida “Brianza!” appena la si vede, la torta paesana mich e lacc, Perchè per tradizione ci si scambiano le torte tra famiglie: prova la mia che io provo la tua. Portane mezza alla zia, l’altra mezza al tal altro zio, mamma metà la prendo anch’io e la porto in ufficio… insomma, è una torta in grado di fare comunità. Non a caso in molte feste paesane in Brianza uno dei momenti topici è la gara di torte paesane: ognuno prepara la propria con la ricetta di casa e poi la si porta in piazza, per la degustazione. Forse solo il tacchino del Thanksgiving Day americano ha tale forza evocativa e aggregante.

Un tempo la torta paesana era fatta solo col pane, i più benestanti conservavano degli avanzi di panettone da Natale, li facevano seccare e li usavano poi per arricchire l’impasto e insaporirlo. Le varianti oggi sono infinite. C’e’ chi usa l’uovo e chi no, chi solo biscotti, chi amaretti. Chi solo cioccolato, chi cacao e cioccolato, canditi sì, canditi no, uvetta assolutamente si, uvetta guai a nominarla! Ma su una cosa siamo tutti d’accordo: il pane inzuppato nel latte lo si schiaccia rigorosamente con le mani (era il grande divertimento dei bimbi!), a realizzare quella pappetta molle pane-e-latte che è poi la base da cui partire per realizzare il prodotto finito. E ora, da brianzolo qual sono, eccovi qui la mia di ricetta, della torta paesana.

Mì la foo inscì,: 1 litro e mezzo di latte; 6 panini secchi (o panettone/pan di spagna secco); 400 gr. di amaretti; 200 gr. di uvetta; 200 gr. di cacao amaro; 50 gr. di pinoli; 50 gr. di burro; 2 cucchiai di brandy o marsala; 2/3 cucchiai di zucchero. Esecuzione: ridurre il pane a piccoli pezzi, mettetelo in una capiente terrina con gli amaretti sbriciolati, il latte, l’uvetta ed il cacao. Mescolate bene e lasciate riposare circa 6 ore. Aggiungere gli altri ingredienti tenendo da parte qualche pinolo. Mescolate bene e versate in una tortiera unta di burro,cospargete con i pinoli rimasti. Mettete in forno già caldo a 200° per circa un’ora e un quarto.

La torta è pronta quando, infilandoci uno stecchino, questo se ne esce asciutto. It’s easy! Ma soprattutto – pensateci – è Brianzolitudine dolcissima da gustare, a ricordarci (se mai rischiassimo di dimenticarlo) quello che siamo stati, quello che siamo, e quello che saremo, restando fedeli a noi stessi.
Renato Ornaghi