E il “fidanzato” cosa dice? Abbiamo girato la proposta di “nozze” lanciata su queste colonne dal presidente della Confindustria Monza e Brianza Andrea Dell’Orto al diretto interessato. Gianfelice Rocca, presidente del colosso Techint e fondatore di Humanitas, dal giugno 2013 guida Assolombarda. Con questo colloquio il Cittadino intende dare voce ai due protagonisti del percorso di alleanza tra le territoriali degli industriali, candidandosi a sede di racconto e di dibattito per tutti, dissenso compreso.
Presidente Rocca, dal suo punto di vista “milanese” che senso ha il progetto di fusione con l’Aimb?
Più che di fusione parlerei di unione. Il progetto nasce dal fatto che si è allargato il foglio a quadretti su cui deve disegnare chi fa impresa: la globalizzazione, i fattori tecnologici e la crisi stanno ridefinendo tutto, compreso il modello territoriale cui rapportarsi. A queste dinamiche non possiamo assistere passivamente: come presidente di Assolombarda sento l’esigenza di garantire un ecosistema ideale per le nostre aziende sia a Milano sia in Brianza.
Perché serve la Brianza per creare questo ecosistema?
Le dimensioni contano. Oggi il territorio ottimale per imprese di successo è ampio. Se, con centro a Milano, facciamo un cerchio con raggio di 60 km, abbracciamo il 25% del Pil da export di tutto il Paese. Questi numeri impressionanti sono realizzati da un’area che già presenta tratti comuni in termini di radici, valori di riferimento, persone, mercati. Chi rappresenta queste aziende, e penso anche e soprattutto al modello familiare, deve attestarsi su una dimensione congrua con questa realtà, perseguendo due obiettivi strategici.
Quali?
Gli imprenditori italiani sono chiamati a un eroismo rispetto ai competitor perché combattono con condizioni fiscali e burocratiche spesso proibitive, eppure sono spesso capaci di vincere. Cosa potrebbero fare se fossero più liberi da questi lacci e lacciuoli? Il primo obiettivo è realizzare un’azione più efficace di sana lobby nazionale e sovranazionale per tutelare la libertà delle imprese. Questo vuole dire anche fornire servizi, accompagnare l’innovazione e la crescita delle aziende. Il secondo obiettivo è il rafforzamento della centralità del manifatturiero, che è un formidabile volano: non dimentichiamo che questo settore fa da solo il 60% degli investimenti in ricerca e sviluppo.
Dalla Brianza però è facile pensare a una dinamica diversa: Milano, cinque volte più grossa, “mangia” Monza. Non è così?
Nessuno ci obbliga a metterci assieme: la riforma Pesenti ha dei paletti che non riguardano le nostre associazioni, che hanno i numeri e la forza per restare da sole. Noi vogliamo fare qualcosa di nuovo perché ci crediamo: stiamo mettendo insieme asset vincenti, non giocando al pesce grosso che mangia il pesce piccolo. Pensiamo a un’organizzazione originale, inedita, che mantenga tutti i legami, i servizi e i rapporti col territorio, ma che sia più forte, più potente, abbia più filo da tessere.
I suoi iscritti cosa dicono? E cosa direbbe a un imprenditore brianzolo diffidente con l’operazione?
Dalla mia parte i segnali che ricevo sono estremamente positivi. I nostri associati sono consapevoli della bontà di un’operazione che permetterà loro di allargare gli orizzonti lavorando al fianco di protagonisti che hanno fatto e fanno la storia dell’imprenditoria italiana e mondiale. Non a caso l’unione industriale di Monza è la più antica d’Italia. Quanto agli iscritti brianzoli, comprendo eventuali loro preoccupazioni. Conosco la loro passione industriale e i loro legami col territorio. Tutti abbiamo ben presente la centralità assoluta del manifatturiero e tutti lavoriamo perché non sia dispersa ma rafforzata: il presidio territoriale resterà intatto, e così le persone di riferimento delle rispettive associazioni. Ma è anche vero che quando nasce una molecola è una cosa diversa da una semplice giustapposizione di atomi: è un’altra entità, più grande e diversa, che lavora molto di più e può diventare molto più utile. Questa idea, sono sicuro, porterà la convinta adesione di tutti.
Ecco presidente: cosa farà questa nuova associazione? Da come la descrive ha una finalità “politica” piuttosto esplicita.
Oggi alle domande delle imprese non possono più rispondere da soli i comuni, tanto meno le province che vivono una fase delicatissima, spesso neppure le regioni. Vogliamo metterci assieme per essere più forti e portare a casa risultati sulle infrastrutture, sull’attrattività per gli investimenti e i finanziamenti alle imprese, sulle interconnessioni, sulla cruciale partita del post-Expo, su scuola e università. Certo, vogliamo sfidare con più incisività il mondo della politica, per creare sviluppo per tutte le nostre imprese milanesi e brianzole.
Sviluppo. Lei guida un gruppo diffuso in tutto il mondo con decine di migliaia di dipendenti: per l’Italia come sarà il 2015? C’è da fidarsi dei timidi barlumi della congiuntura favorita da euro e petrolio bassi e dalle mosse di Mario Draghi?
Noi dovremo usare Expo per agganciare ogni possibilità di crescita in un contesto durissimo ma migliore grazie ai fattori citati, e avere la consapevolezza che i mercati sono diventati precari e richiedono molto più impegno e attenzione da parte di chi vuole occuparli con successo. Anche per questo l’unione potrà sprigionare più energie e opportunità di business.
A proposito di precarietà, come giudica le novità introdotte proprio a marzo con i decreti attuativi del Jobs Act?
Da parte del mondo imprenditoriale c’era una forte attesa per questi provvedimenti, che rappresentano un fattore di miglioramento nella prospettiva di garantire l’occupabilità e non il posto di lavoro. Però invito a non fare confusione: a far ripartire le assunzioni e la crescita non è mai una legge, ma una domanda, che oggi resta molto fiacca, soprattutto quella interna. In questo senso non è giusto illudersi che un provvedimento, ancorché positivo, possa fare miracoli.