C’è una cura al razzismo americano e per produrla è servito un contributo italiano, originario di Oreno di Vimercate. La cura si chiama “Lazercism” ed è ispirato al funzionamento dei laser per curare i glaucomi dell’occhio, solo che quando applicato cancella il “racial glaucoma” ridando al paziente malato di razzismo finalmente una visione chiara e pulita della realtà. Ed è la tecnica d’intervento proposta da Shaka King, che di mestiere non fa il medico ma il regista cinematografico, e che per realizzare il suo lavoro si è affidato a Veronica Radaelli, ragazza vimercatese che da Oreno all’età di 23 anni si è trasferita ai piedi delle colline di Hollywood, a Los Angeles, dove si è specializzata in Produzione cinematografica all’Ucla (University of California) e, da quasi 10 anni, lavora come produttrice di film, video musicali e cortometraggi.
La cura “Lazercism” si prende guardando il grande schermo e proprio in questi giorni è davanti agli occhi del pubblico del Sundance Film Festival, il più celebre festival al mondo per il cinema indipendente, quello sostenuto da Robert Redford e che, tra molti altri, ha permesso in tre decenni di far emergere cineasti come Quentin Tarantino, Steven Soderbergh o Jim Jarmusch.
Una culla del cinema americano d’autore e nell’edizione 2018, la trentesima, che si è conclusa il 28 gennaio a Park City, nello stato dello Utah, c’è anche il cortometraggio prodotto da Veronica che si presenta come un lavoro che affronta con un punto di vista particolare uno dei temi più controversi e profondi della società statunitense.
L’impostazione di “Lazercism” sposta la prospettiva dalla classica questione storica del razzismo americano alla “possibile” soluzione a un problema quasi fisiologico per molte persone: nel cortometraggio è l’attore afroamericano Lakeith Stainfield (protagonista di altri famosi film come “Selma” e “Get Out”) che analizza l’atteggiamento dei bianchi nei confronti dei neri, presenta storie vere e opinioni raccolte tra la gente, quindi indica la cura con il “laser” negli occhi malati di “racial glaucoma”.
Lavoro originale e «importante – spiega Veronica Radaelli – perché vogliamo che il nostro cortometraggio possa raggiungere più persone possibile e portare un messaggio positivo e di speranza a chi viene toccato ogni giorno dal razzismo e dalla violenza legata ad esso. Purtroppo l’abuso di potere è ancora un problema nel mondo e soprattutto in America, ogni anno innocenti vengono uccisi solo in base al colore della pelle o per l’appartenenza a determinate comunità, e questo trend non sembra migliorare».
Per lei il cinema è una forma di comunicazione che può essere anche «in grado di portare maggiore attenzione a problemi sociali e a volte anche poter dare possibili soluzioni alternative, come appunto accade nel nostro cortometraggio». E il Sundance sembra il posto migliore al mondo non solo dove far vedere il proprio cortometraggio ma anche trasmettere il messaggio del proprio lavoro.
Alla seconda volta al festival, dopo aver partecipato nel 2016 con il film “Antibirth”, ed «è sicuramente una esperienza unica – spiega – Per una settimana Park City si trasforma nella mecca del cinema; oltre al lato più strettamente legato al business si ha modo di incontrare artisti con visioni alternative e provenienti da tutto il mondo e si ha modo di conoscere nuovi giovani talenti emergenti».
Il curriculum è ricco. Il suo ultimo film, prima del corto “Lazercism”, è “Ghost House”, un horror girato in Thailandia che ha spopolato nei cinema asiatici ed è ora disponibile in America su Netflix. Ci sono poi i video musicali, come “Animals” della band Goatts del figlio di John Lennon e Yoko Ono, Sean Lennon, o “Savages” dei Theory of a Deadman e Alice Cooper, quindi altri lavori realizzati in un decennio.
La meta ambita e obbligata è Hollywood, e Veronica Radaelli, oggi 33enne, ci arriva da Oreno, dopo un periodo a Londra e la laurea nel 2009 allo Iulm in Scienze e tecnologie della comunicazione, poi integrata con un diploma in Business of Entertainment all’Ucla Extension nel 2012. La gavetta è dura ma le occasioni per essere messa alla prova arrivano e Radaelli inizia una carriera che la porta a produrre progetti significativi come “Antibirth” e “Blue Jay”. Ha trovato l’America ma non scorda l’Italia e nelle sue prossime collaborazioni «vorrei sfruttare la bellezza dei paesaggi italiani, la nostra fantastica cultura e il nuovo tax incentive italiano e portare l’Italia di nuovo a un pubblico internazionale».