Ricorso respinto. La sezione terza del Consiglio di Stato di Roma, presieduta dal facente funzioni Oreste Mario Caputo, con Raffaello Sestini, Ugo De Carlo e Roberto Michele Palmieri consiglieri e Giovanni Tulumello consigliere estensore, ha bocciato l’istanza con la quale il comune di Seregno, rappresentato in giudizio da Giuseppe Franco Ferrari e Vincenzo Andrea Piscopo, aveva appellato la sentenza del Tar della Regione Lombardia del 19 novembre 2020, che aveva annullato il provvedimento a firma del dirigente comunale dell’area servizi per il territorio, lo sviluppo economico e la cultura, con cui il 19 dicembre 2019 era stato notificato all’associazione Anasr l’obbligo di ripristino della destinazione d’uso a laboratorio artigianale dell’immobile di via Milano 3, indicato ormai abitualmente come centro islamico. Questo dopo che numerosi sopralluoghi, effettuati dal corpo della Polizia locale, avevano rilevato in più occasioni la presenza sul posto di adulti e bambini tra i 6 ed 13 anni, dediti ad attività di studio, e la contestuale assenza di attrezzature riconducibili ad attività produttiva ed artigianale.
Anasr: confermato il deficit degli accertamenti istruttori sul posto
Il Consiglio di Stato, nella sua sentenza, pubblicata lunedì 9 dicembre, ha riscontrato che «la disamina concreta delle relazioni di servizio», redatte dal personale della Polizia locale dopo i suoi accertamenti e contestate davanti al Tar da Anasr, «conferma la sussistenza del deficit istruttorio lamentato da parte ricorrente. I verbali relativi ai sopralluoghi del 15 ottobre 2019 e del 9 novembre 2019 sono anodini rispetto ai contenuti del provvedimento impugnato. L’amministrazione richiama, inoltre, un avviso “apparso su social media e ripreso dagli organi di stampa” che segnala l’apertura di un nuovo centro culturale. Elemento che non assume alcuna valenza trattandosi di un dato meramente potenziale di un possibile incremento urbanistico e non di un dato reale e concreto. I verbali del 19 ottobre e del 2 e 23 novembre accertano, invece, la presenza di alcuni adulti e di bambini intenti in attività di studio. Ma tale circostanza non può, da sola, considerarsi sufficiente per inferire una sicura incidenza sul carico urbanistico».
Anasr: il provvedimento comunale è risultato illegittimo
Inoltre, Palazzo Spada ha rilevato che «è fuori di dubbio che, come affermato in sede di discussione dal difensore del Comune appellante, la libertà religiosa deve potersi svolgere nell’osservanza anche degli adempimenti di natura urbanistica: ma è altrettanto incontestabile che non possono ipotizzarsi adempimenti ingiustificatamente penalizzanti e sproporzionati rispetto a quelli ordinariamente individuati come limite all’esercizio della proprietà edilizia» ed ha osservato poi che le argomentazioni del comune di Seregno danno per scontato che l’attività del laboratorio artigianale «ha o avrebbe prodotto un carico urbanistico certamente inferiore rispetto a quello conseguente all’attività dell’associazione appellata, posto che asseriscono la rilevanza differenziale di quelli registrati a seguito del nuovo uso in quanto tale, ma non in rapporto alla precedente (come accertata e documentata, o quantomeno anche solo oggettivamente valutata). Sul punto il provvedimento impugnato in primo grado si limita ad affermare che “traspare una presenza di frequentatori costante e non sporadica nel tempo e non limitata ai soli membri dell’associazione”: tale motivazione, oltre a risultare contraddetta dalle richiamate risultanze istruttorie, è comunque strutturalmente carente perché esamina uno soltanto dei due termini del rapporto relazionale su cui potrebbe in tesi poggiare un provvedimento di tal fatta. In altre parole, non è affatto scontato che il mutamento funzionale produca di per sé una variazione del carico urbanistico (specie se non si ha adeguata contezza del dato iniziale di raffronto), e soprattutto che la produca in peius». Inoltre, la corte ha ritenuto che «la questione della compatibilità o meno dell’attività in questione con il vigente piano di governo del territorio non ha costituito oggetto della sentenza impugnata, essendo stata dichiarata assorbita; il relativo motivo di appello è inammissibile per carenza d’interesse, posto che gli elementi indicati nel senso dell’infondatezza degli altri motivi esaminati sono autosufficienti per la conferma della sentenza di annullamento del provvedimento comunale perché illegittimo; in ogni caso il mezzo risulta altresì infondato in quanto l’articolo 24 delle norme tecniche di attuazione non ha espressamente escluso le attività culturali dal novero delle attività ammissibili». Le spese legali sono state compensate.