Monza, nell’inferno del Bangladesh: “Studenti torturati, il mondo deve sapere”

Un monzese di origine bengalese tornato nel suo Paese per riabbracciare la famiglia racconta le repressioni violente
La comunità del Bangladesh a Monza in preghiera dopo l’attentato di Dacca
La comunità del Bangladesh di Monza Fabrizio Radaelli

Per cinque giorni non hanno avuto sue notizie: internet non funzionava perché il governo aveva bloccato l’accesso alla rete. Quando le comunicazioni con il resto del mondo sono state ristabilite, la cronaca di quello che sta succedendo in Bangladesh ha assunto contorni sempre più drammatici e l’Usb Monza e Brianza ha iniziato a darsi da fare per tenere alta l’attenzione sulle proteste in corso contro il governo. Chi per cinque lunghissimi giorni non è riuscito a inviare aggiornamenti è un monzese di origine bengalese che con l’Usb ha stretto rapporti per favorire l’integrazione sua comunità, una delle più numerose tra quelle straniere presenti in città: “Di solito – spiega Gianni Romano di Usb – non ha problemi a comparire sui giornali per raccontare le iniziative organizzate per far conoscere la sua cultura. Ora, però, chiede di mantenere l’anonimato: il timore di ripercussioni è forte”.

La testimonianza del bengalese che vive a Monza

Nosir (nome di fantasia) non tornava in Bangladesh dagli anni dell’infanzia: un paio di settimane fa è partito per riabbracciare la famiglia, ma la situazione che ha trovato nel paese è «terribile». «Chi cerca di raccontare quello che sta succedendo viene minacciato», scrive allarmato via whatsapp. All’inizio è titubante: potrebbe finire nei guai. Poi la necessità di raccontare diventa più forte di ogni paura. «È nostro dovere diffondere queste scene di tortura in tutta Europa e riportare le persone a un’atmosfera di pace». E allora invia fotografie, video, ancora fotografie. «Quando gli studenti hanno iniziato a protestare per i loro diritti, le forze di polizia hanno sparato contro di loro indiscriminatamente, causando la morte di molte persone». Le manifestazioni sono iniziate nelle università come proteste pacifiche contro il sistema di assegnazione degli impieghi nel settore pubblico.

Nell’inferno del Bangladesh dove la repressione è sfociata nella violenza

Poi però si sono estese ad altre fasce della popolazione e sono diventate più violente, come del resto la repressione da parte delle autorità. Nosir spiega che «i membri del partito governativo hanno torturato senza pietà gli studenti» e che «molte ragazze sono state brutalmente picchiate». «La maggioranza della popolazione del Bangladesh – prosegue – non vuole questo governo, ma quelli che ne parlano male vengono torturati: la repressione non si fermerà fino a quando l’Europa e l’America non condanneranno quello che succedendo». Usb Mb sta cercando di mantenere contatti quotidiani con i monzesi di origine bengalese attualmente nel Bengala, informando poi amici e conoscenti di qui. Per sensibilizzare l’opinione pubblica il sindacato sabato 3 agosto dalle 17, insieme alla comunità bengalese terra un presidio all’Arengario, a Monza per denunciare la grave situazione.