«Fino al 23 dicembre non abbiamo avuto contestazioni. Dopo quel giorno siamo diventati “inadempienti”. E non sappiamo ancora perché»: Attilio Navarra, presidente di Nuova Villa reale spa, torna in Villa reale a Monza il 19 febbraio 2021, il giorno fissato per la chiusura dei conti con la concessione che ha condotto da dieci anni per restaurare il capolavoro di Piermarini e poi gestirlo, fino al divorzio consumato negli ultimi di due mesi con il Consorzio monzese.
La data della separazione definitiva in realtà slitta di qualche settimana – fino alla fine del mese, sembra – per concludere i sopralluoghi e la verbalizzazione di quanto gli è stato consegnato e di quanto riconsegna all’ente pubblico, prassi necessaria perché, soprattutto, tira aria di cause legali tra privato e Consorzio. «Causa? Non voglio parlarne, se ne occupano gli avvocati» tagliata corto Navarra: «Come mi ha insegnato mio padre, quando si arriva in tribunale è già una sconfitta, dal punto di vista imprenditoriale». E allora niente: non è un argomento, per il presidente dell’ormai ex concessionario di gran parte della Villa: quello che ha voluto raccontare alla Reggia il 19 febbraio, in dialogo con il vicedirettore del Giornale Nicola Porro, sono le sue ragioni – la sua verità. Che si conclude così: pronti a ricominciare da un’altra parte, se ce ne fosse un’occasione, portando il nostro know how.
«Dopo questa esperienza – dice Navarra – desolati per l’esito ma nel contempo fieri dell’immane lavoro di recupero conservazione e valorizzazione condotto in questi circa 10 anni, siamo pronti a riproporre e trasferire altrove il nostro know-how concentrato in un gruppo di professionisti e collaboratori molto eterogeneo, pronto ad impegnarsi per dare seguito a nuovi progetti di recupero, non solo restaurativo, ma sociale e culturale, di beni che – come la Villa reale – sono stati abbandonati da anni all’incuria al degrado. Sono convinto che il privato sia fondamentale per fare da modello a quanto associazioni ed enti esortano da tempo: lo sviluppo ed il sostegno della sostenibilità economica e sociale dei beni culturali».
Se un torto si dà, Navarra, è quello di non avere chiarito subito molto dei rapporti tra pubblico e privato. «Noi abbiamo fatto la nostra parte, la Regione ha investito il 70%, noi il 30%: 7 milioni di euro nella parte iniziale, altri 4 nei successivi sei anni e mezzo. Sono oltre 10 milioni di euro che si trovano qui dentro» dice guardando gli stucchi delle sale della Reggia. «Ma dopo, il pubblico ha fatto zero». Mostra le carte che hanno accompagnato il bando che ha vinto oltre dieci anni fa: «Qui si vede una tabella dei programmi che sarebbero dovuti seguire, non è stato fatto quasi nulla». A colori si vedono il recupero e restauro del Serrone e del Teatrino di corte (quest’ultimi appena conclusi, l’Orangerie sistemata nel tetto qualche anno fa), le Cavallerizze, ma soprattutto l’Ala nord, rimasta un fantasma come allora. «Tutto sarebbe dovuto procedere, perché soltanto con la valorizzazione completa del bene avrebbe funzionato sempre di più: ed era nelle carte del bando. Ora mi dicono che non era una parte vincolante».
Così come il Comitato scientifico che avrebbe dovuto creare il Consorzio (una facoltà da statuto), mai realizzato, «alla fine ne abbiamo creato uno noi e abbiamo sempre invitato i fondatori del Consorzio, ma non sono mai venuti». «Alla fine mi sono sentito un affittuario ingombrante» ripete Navarra sottolineando un concetto già espresso nei mesi scorsi: «Finora mi hanno detto che il pubblico non faceva perché non c’erano fondi. Ora i fondi ci sono : 23 milioni nel bilancio 2019 e gli altri nel bilancio del 2021 del Consorzio, quelli stanziati dalla Regione. Quindi quando non c’erano i soldi andavo bene io, adesso che i soldi ci sono fanno da soli e mandano via noi».
Navarra contesta l’incarico per il masterplan della Reggia ufficializzato settimana scorsa: «Un altro masterplan, ma uno c’era già, quello del 2007 pagato da Regione Lombardia che ha portato al piano Carbonara. Non ne serviva un altro: c’era quello, bastava applicarlo. Ma dal 2014, con tre sindaci diversi e quattro direttori generali diversi, alla fine il Consorzio è sempre stato latitante».
E adesso? «Non so cosa faranno, non dipende da me, io sono soddisfatto del fatto che la Regione ha chiarito che hanno diritto alla cassa integrazione i dipendenti che hanno lavorato con noi per tanto tempo. Poi non so: stiamo terminando le verifiche e mi sembra che stiano facendo tutto il possibile per trovare qualcosa che non va. Per gli impianti, per il Consorzio, c’erano quindici persone a controllare: nemmeno quando esce la Guardia di finanza ci sono tante persone» ma per Navarra il punto sta altrove: «Sulla carta la concessione funzionava e avrebbe potuto funzionare. Ma c’era bisogno del contributo di tutti». E per fare un esempio, parla di altri esempio pubblico-privato, come «le autostrade: è stato come se dopo avere vinto la gara per realizzare e gestirne una, l’ente pubblico di fronte alla necessità di espropri per il tracciato avesse detto: ora vediamo, chissà, però lì no, non possiamo farli». Ma lui resta convinto: il modello funzionava e se non è accaduto, dice, non è stata una sua responsabilità.