L’intervista, il ministro Messa e l’università: «Agli studenti italiani servono prospettive certe e riconoscimenti giusti»

L’Intervista esclusiva al ministro di Monza Cristina Messa. Nata a Monza, docente della Milano Bicocca di cui è stata rettore, è stata scelta dal presidente del Consiglio Mario Draghi come ministro dell’Università e della Ricerca, settore chiave per lo sviluppo dell’Italia.
Monza cristina messa
Monza cristina messa Fabrizio Radaelli

Dal 13 febbraio di quest’anno Maria Cristina Messa, 59 anni, è ministro dell’Università e della Ricerca. Laureata in medicina e chirurgia è professore ordinario di diagnostica per immagini e radioterapia presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ateneo di cui è stata rettore dal 2013 al 2019.

Monza le è familiare perché qui è nata e ha a lungo lavorato presso la medicina nucleare del San Gerardo di cui è stata direttore fino alla nomina a rettore.

Ministro quali ricordi la legano a Monza?
«Non ho mai vissuto in città, ma ho tanti ricordi dei week end con i nonni a Monza, dei pomeriggi al parco».

Come è arrivata la nomina a ministro?

«Inaspettata, non pensavo di essere nominata ministro dell’Università e della Ricerca. È una grande emozione e insieme una grande responsabilità, consapevoli degli obiettivi che vogliamo e dobbiamo raggiungere in un tempo molto limitato. Stiamo lavorando con grande determinazione sapendo che investimenti e riforme sono per preparare il futuro delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, coloro che dovranno governare il Paese nei prossimi anni».

Lei ha guidato l’Università Bicocca, una università giovane che ha raggiunto rapidamente posti di eccellenza, soprattutto per la medicina. Qual è il segreto di questo successo? È una formula esportabile anche su altre realtà italiane?

«Guardandomi indietro, credo che l’aspetto più caratterizzante e determinante sia stato lo spirito con il quale abbiamo lavorato, uno spirito condiviso dall’intera comunità, di cultura, informazione, ricerca, di grandi valori come parità tra uomo e donna, tutela dei più fragili, di attenzione alla sostenibilità. Abbiamo lavorato mantenendo uno sguardo europeo e internazionale, che ha consentito di inserire l’università in una dimensione aperta, accogliente nei confronti degli studenti, dei ricercatori, dei docenti. Abbiamo lavorato molto sulle carriere degli studenti, per accompagnarli e supportarli con orientamento e tutoraggio per abbassare il tasso degli abbandoni e ridurre i fuori corso, per agevolarli a entrare nel mondo del lavoro, proponendo un’offerta formativa che tenesse conto delle nuove esigenze, definendola anche insieme agli studenti, dando forza vera al confronto con loro».

Altro?
«Abbiamo reso ambienti aperti e adeguati ai tempi, investito nella ricerca competitiva e agevolato la ricerca interdisciplinare, guardando molto all’importanza del trasferimento dei risultati della ricerca in processi, prodotti e servizi. Io non sono una eccessiva sostenitrice di modelli, poiché ogni territorio ha la sua storia e le sue caratteristiche, ma piuttosto di valori da condividere».

Conosce bene il mondo universitario, quali sono le criticità e come sta intervenendo?
«L’obiettivo principale del sistema della formazione terziaria è riuscire, nei prossimi anni, a incidere in modo significativo sul numero di laureati in Italia, invertendo una tendenza che ci sta progressivamente allontanando dagli altri principali Paesi europei. Se quello è l’obiettivo, gli elementi su cui stiamo intervenendo sono diversi e in raccordo tra loro: dall’estensione della no-tax area all’aumento delle borse di studio perché non ci siano più meritevoli che non possono accedervi, dall’aumento dei posti letto alla realizzazione di nuovi campus, dall’ampliamento della flessibilità e interdisciplinarietà dell’offerta formativa alla riforma delle lauree abilitanti, dal supporto alla mobilità alla maggiore chiarezza dei percorsi di studio e di carriera».

Ci sono modelli internazionali a cui si sta ispirando?
«L’esperienza maturata in Europa in questi anni, soprattutto nel campo dei Grant per l’assegnazione di fondi per la ricerca, ci sta facendo da guida sia per immaginare i bandi attraverso i quali destinare le risorse del nuovo Fondo Italiano per la Scienza oltre a quelli delPiano di ripresa e resilienza con i fondi del Next Generation Eu».

Cosa ha significato la pandemia per gli studenti universitari e che nuovo anno li attenderà?
«La pandemia ha prima di tutto privato gli studenti, e l’intera comunità accademica, della vita universitaria, del confronto, del dibattito, dello studio in condivisione, della sperimentazione. È da questi aspetti che, con attenzione e precauzione, ripartiremo con il nuovo anno accademico. Alle risorse ordinarie per attività di tutorato abbiamo aggiunto fondi ulteriori proprio per sostenere il sistema universitario e quello dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica nell’attivare strumenti ad hoc, sportelli di ascolto, percorsi di accoglienza che siano in grado di accompagnare i giovani nel rientro in presenza, con la didattica a distanza che continuerà a essere uno strumento da utilizzare la meglio, per aumentare le possibilità concesse agli studenti di confronto e scambio».

Cosa consiglia a un giovane che deve scegliere il percorso universitario?
«Di farlo consapevolmente. Il momento dell’autovalutazione, insieme a un orientamento che dobbiamo migliorare e rendere sempre più attivo, è fondamentale per fare in modo che passioni e aspirazioni possano trovare il giusto equilibrio per ogni giovane».

Ritiene di proseguire con i test di ingresso o potremmo adottare il sistema francese per l’accesso a medicina?
«Con tutti i limiti del nostro sistema, credo che il test di ingresso sia lo strumento più efficace a meno di un ampliamento del corpo docenti e delle strutture».

Siamo ancora agli ultimi posti per numero di laureati in Europa e tanti giovani scelgono di proseguire gli studi all’estero e di restarci. Come trattenere i talenti e farli rientrare?
«Creando le condizioni perché siano incentivati a scegliere l’Italia come Paese nel quale portare avanti sogni e lavoro. E le condizioni sono date da una parte dalle possibilità offerte dal mondo del lavoro e dagli stipendi previsti e dall’altra dal rendere più chiari e certi i percorsi che si aprono di fronte ai giovani. Ciò che spesso spaventa non è tanto il “tempo determinato” ma non sapere le possibilità che si aprono dopo quel tempo. E serve creare una giusta corrispondenza tra i titoli acquisiti e il riconoscimento che di questi titoli ne fa il mondo del lavoro».