Arriva in un teatro quasi sold out l’arcivescovo Angelo Scola, accolto dalle voci di un coro di giovani del decanato che insieme hanno vissuto l’esperienza della Giornata della gioventù la scorsa estate. Sul palco il tavolo al quale siedono il vicario episcopale di zona, monsignor Patrizio Garascia e l’arciprete di Monza, monsignor Silvano Provasi, a fare gli onori di casa. Accanto una poltrona dal sapore antico. «È quella sulla quel si sedette papa Giovanni Paolo II quando venne a visitare la città di Monza nel 1983». Scola però preferisce rimanere al tavolo accanto ai suoi confratelli, pronto a iniziare un dialogo con i fedeli arrivati da Monza, Brugherio e Villasanta.
«Prima di tutto grazie per essere qui – esordisce l’arcivescovo – perché avete avuto il tempo alla fine di una giornata di lavoro per incontrare l’arcivescovo. Ho voluto questo nostro appuntamento proprio in un giorno feriale perché la visita pastorale sia inserita nella quotidianità e aiuti a superare la frattura che spesso avverto tra fede e vita pastorale». A guidare l’ora e mezza di dialogo tra la guida della Chiesa ambrosiana e il popolo del decanato sono cinque domande su altrettanti temi, elaborate dai diversi consigli pastorali e proposte all’arcivescovo. Spunti che sono provocazioni e inviti alla riflessione, che Scola traduce in altrettante esortazioni.
Don Giuseppe Barzaghi, parroco della comunità pastorale Santi quattro evangelisti, è il primo a prendere la parola. A lui, chiamato a guidare il lavoro di quattro comunità parrocchiali, il compito di interrogare l’arcivescovo sulle difficoltà della pastorale di insieme. «La scelta avviata dal cardinale Tettamanzi di dare vita alle comunità pastorali è stata assunta lentamente ma si è rivelata profetica – ha spiegato Scola – è stata la risposta al grande cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. Non si pensi però che il motivo sia solo la carenza di sacerdoti, sarebbe una motivazione troppo riduttiva seppur vera (nel 2016 sono morti 56 sacerdoti e il prossimo giugno ne dovrebbero essere ordinati 10, ndr). Voi non siete clienti ma soggetti attivi della Chiesa, ed è su questo punto che le nostre comunità devono maggiormente maturare. Dalla fatica dell’unità e dell’ascolto deve nascere la spinta al cambiamento».
Un cambiamento che attraversa anche il mondo della scuola, raccontato attraverso le parole di Paolo Pilotto, docente di religione al liceo Zucchi. Un tema, quello dell’educazione, particolarmente caro all’arcivescovo che ha chiaramente ribadito: «Piuttosto andiamo in giro con i pantaloni rattoppati ma non molliamo di un passo sull’educazione dei ragazzi. Se usciremo dall’epoca della stanchezza sarà grazie all’educazione che non è solo trasmissione dei saperi. È finita l’epoca della pastorale del campanile. Oggi dalle parrocchie riceviamo certamente i sacramenti, ma occorre una grande libertà educativa perché ogni realtà ecclesiale è carismatica e fonte di ricchezza».
Spazio poi ai giovani. «Perché ci attirano di più proposte di puro volontariato e aiuto rispetto ad altrettante accompagnate invece da un cammino di fede», ha chiesto Maria Gioia, giovane studentessa di Legge. «È perché non abbiamo comunicato che è Gesù che ci guida alla gratuità, e questo perché è profonda la frattura tra la fede, vissuta come qualcosa di personale, e la vita». Roberto Mauri, direttore della cooperativa La Merdiana, ha portato l’attenzione sulle fragilità: dagli anziani ai malati gravi o in fin di vita. «È fondamentale avere davanti la prospettiva tutta intera. Non si va verso il niente, occorre proporre la bellezza dell’eternità, spalancarci al destino di paradiso che ci è promesso». È Fabrizio Annaro, direttore de Il Dialogo di Monza, a chiudere la carrellata di domande con una riflessione proprio sul mondo dei media. «I media dovrebbero comunicare la verità, che i giornalisti raccolgano le tante testimonianze di bene. Il pericolo è che si scambi il verosimile per il vero – rimarca Scola. -Troppo spesso i giornalisti non hanno poi il coraggio di chiedere scusa e tornare sui loro passi quando si accorgono di aver sbagliato. Eppure è fondamentale perché in gioco c’è la vita delle persone».
La benedizione finale, un lungo applauso e le voci dei ragazzi del coro hanno chiuso la serata, mentre la folla dei presenti si è stretta intorno a Scola per un ultimo saluto.