“Caso camici” in Regione Lombardia: mozione di sfiducia delle opposizioni; il presidente Fontana risponde: «Attacco politico»

La “vicenda camici” sta scuotendo la Regione Lombardia. Il presidente Attilio Fontana è indagato per l’ipotesi di reato di frode in pubbliche forniture, le opposizioni sono al lavoro su una mozione di sfiducia.
Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia
Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia

La “vicenda camici” sta scuotendo la Regione Lombardia. Il presidente Attilio Fontana è indagato per l’ipotesi di reato di frode in pubbliche forniture e lunedì ha parlato in consiglio regionale; le opposizioni sono al lavoro su una mozione di sfiducia per “mettere il governatore di fronte alle sue responsabilità”.

Al centro la fornitura di 75mila camici per operatori sanitari da parte della società gestita dal cognato a Regione Lombardia: il nodo sarebbe la trasformazione della fornitura in donazione. Al centro delle polemiche è anche il mancato bonifico da 250mila euro da parte di Fontana al cognato Andrea Dini, segnalato come sospetto alla Banca d’Italia.

”Le opposizioni utilizzeranno tutti i mezzi a disposizione, compresa la mozione di sfiducia della quale il Movimento Cinque Stelle si è fatto promotore, per mettere Fontana davanti alle proprie responsabilità. Stiamo lavorando per affinare un testo che metta insieme tutte le sensibilità. La nostra posizione condivisa è quella di scrivere la parola fine su questa disastrosa esperienza di cattiva amministrazione”, dichiarano in una nota congiunta i capigruppo di opposizione in Regione Lombardia, Massimo de Rosa (M5S), Fabio Pizzul (PD), Niccolò Carretta (Azione), Elisabetta Strada (Lombardi Civici Europeisti) e Michele Usuelli (+Europa Radicali), secondo cui quelle del presidente Fontana in Aula “sono state le vuote parole di chi è consapevole di trovarsi ormai a fine corsa”.

Attilio Fontana ha parlato in consiglio regionale lunedì, ha respinto gli addebiti nel merito del “caso camici” e ha rifatto il punto sull’operato della Lombardia nei mesi dell’emergenza coronavirus.

«Un attacco politico alla mia persona, ma sono convinto che giorno dopo giorno la verità verrà a galla», ha detto.
Fontana aveva iniziato il suo intervento parlando della sua decisione di riferire in aula per «ristabilire la verità dei fatti» contro una «narrazione divulgata dalla più faziosa informazione».

La società Dama il 16 aprile aveva avuto da Aria spa, la centrale acquisti della Regione, l’affidamento diretto di una fornitura di 75.000 camici e 7.000 set sanitari per 513.000 euro, poi il ’casò è scoppiato a inizio giugno in seguito a un’inchiesta giornalistica della trasmissione tv di Rai3 ’Report’, a cui sono seguite le indagini della Procura di Milano.

Il presidente lombardo ha dichiarato la sua «completa estraneità ai fatti contestati» e in merito alla controversa fornitura, spiega: «La vicenda è molto semplice ed oso dire banale, sapevo che Dama si era dichiarata disponibile a rendersi utile, ad offrire un contributo per rispondere all’emergenza Covid19. Lo aveva già fatto in precedenti occasioni, ed anche la fornitura dei camici rientrava, per me, nell’ambito della predetta disponibilità».

Ma Dama non era stata l’unica azienda a farsi avanti, precisa Fontana, «l’assessore Cattaneo (incaricato di reperire i materiali durante l’epidemia di Coronavirus, ndr) aveva interpellato Dama ed altri imprenditori sul territorio anch’essi disposti a dare una mano». Alla fine «sono state coinvolte nelle forniture tutte e 5 le aziende che avevano dato disponibilità a riconvertire le loro produzioni e quindi produrre camici per il sistema sanitario regionale, con quantità e costi unitari differenti. Per tutte queste aziende è valsa la medesima procedura attuata per tutti gli acquisti fatti dopo l’autorizzazione del Governo a Regione Lombardia ad utilizzare le procedure semplificate di emergenza».

E per il suo ruolo rispetto alla Dama: «Avevo spontaneamente considerato di alleviare in qualche modo l’onere dell’operazione, partecipando personalmente- proprio perché si trattava di mio cognato- alla copertura di una parte di quell’intervento economico. Si è trattata di decisione spontanea, volontaria e dovuta al rammarico nel constatare che il mio legame di affinità aveva solo arrecato svantaggio ad una azienda legata alla mia famiglia. E così quel gesto è diventato sospetto, se non addirittura losco».