Nonostante le difficoltà e le tragedie subite, arriva anche per Monza il 25 aprile 1945. Arriva con i tedeschi ancora asserragliati nel maledetto quadrilatero compreso tra le vie Verdi e viale Regina Margherita, incattiviti e avvelenati dalle notizie da Berlino e pronti a tutto per evitare una resa senza condizioni. Arriva con i fascisti più compromessi che spadroneggiano prima della resa dei conti finale.
Enrico Farè e Fortunato Scali, i più esposti alle ritorsioni dei repubblichini, vengono allontanati a Monza e sostituiti – nel Cln locale – con Carlo Casanova (Psi), Aldo Buzzelli (Pci) e Mario Luvolini (Pd’a). Nelle prime ore del mattino, un’auto condotta da Dante Porta – che era stato liberato dal carcere di San Vittore – passò vociando per le vie di Monza e agli «amici conosciuti per fedeltà alla causa antifascista dette appuntamento presso gli uffici della Banca Commerciale Italiana» di via Vittorio Emanuele. Qui «erano già affluiti partigiani, antifascisti, renitenti alla leva, giovani e vecchie , tutti pervasi di ardore e inneggianti alla ormai conseguita liberazione», raccontano le cronache dell’epoca.
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Saltarono fuori anche «dei mitra e di questi si armarono una decina di giovani , allorché si tratto di accompagnare i quattro membri del Cln – Vago, Casanova, Buzzelli e Luvolini – nella visita al comando delle Ss tedesche, al quale si voleva domandare la capitolazione». Le strade cittadine erano quasi deserte: dalle finestre guardava incuriosita la popolazione, «che ormai sapeva di che si trattasse ed era in attesa degli eventi».
Il generale Willi Tensfeld accolse la delegazione in alto divisae li precedette, «accompagnandoli nel proprio ampio studio e invitandoli ad accomodarsi». Il colloquio tra i rappresentanti dei partigiani e il Brigadefuher tedesco fu un dialogo tra sordi. Tensfeld «dichiarò che ch’era suo intendimento di lasciare quanto prima la città per riunirsi ad altre truppe tedesche, ma che intendeva di non essere minimamente ostacolato ed disturbato».
Il giorno dopo, il 26 aprile, l’arciprete di Monza, monsignor Giovanni Rigamonti, chiese di parlare al generale delle Ss. Don Ferdinando Maggioni era allora l’assistente spirituale all’oratorio maschile di San Biagio: divenuto vescovo di Alessandria, ricordava la febbrile trattativa intercorsa tra monsignor Rigamonti e il generale Tensfeld.
«Ormai la sconfitta dell’esercito tedesco sembrava imminente – racconterà anni dopo – Anche a Monza c’era già un clima di festa. Ma a Monza c’era pure la sede di un importante comando della SS. Il comandante fa sapere che per Monza c’erano difficoltà particolari per realizzare un armistizio e chiede di aver contatto con l’arcivescovo di Milano, cardinale Schuster. Accompagno monsignor Rigamonti dal comandante tedesco per aver maggiori indicazioni. Egli sostanzialmente ci comunica che intende conservare il clima fino allora tenuto coi monzesi ed i monzesi faranno lo stesso con lui. Ed aggiungeva con tono minatorio: “Altrimenti la situazione cambierà. Con ingenti forze armate faremo di Monza un mare di sangue”. Da parte sua proponeva una soluzione che poteva risolvere tutto pacificamente: “Il cardinale dovrebbe ottenere delle autorità alleate un lascia-passare per i suoi militari così da poter tornare in territorio tedesco senza disagi”».
Le minacce sono si sono mai trasformare in realtà. E i monzesi decisero in segno di riconoscenza di erigere un tempio alla Madonna, Regina della Pace.