Monza – Una sede c’è, negli spazi dell’ex ospedale di via Solferino. In quattro locali ha trovato spazio l’associazione Capirsi down, realtà impegnata a tutto campo contro i luoghi comuni che accompagnano le persone con la sindrome di Down. La onlus raccoglie oltre 120 iscritti, l’80 percento famiglie con bambini affetti dalla sindrome. Quello che manca è un contratto ufficiale di locazione, che sia in grado di dare sicurezza per il futuro e, non ultimo, un impianto di riscaldamento che non lasci al freddo attività e soci nei pesanti mesi invernali. Oggi i volontari dell’associazione sono costretti a proporre le loro attività, negli spazi assegnati accanto all’ingresso dell’ex nosocomio, utilizzando stufette di fortuna, che comunque non bastano. I locali sono quattro, le stufe due. E due locali, pur piccolissimi, in inverno non sono assolutamente fruibili: oltre al freddo, c’è anche un grave problema di umidità. Se poi si accende una stufa in più, salta la fotocopiatrice o, peggio, il computer.
Eppure le attività dell’associazione sono molte. E importanti. Oltre al lavoro di segreteria e consulenza a sostegno delle famiglie, ci sono corsi per i ragazzi, con psicologi ed altri esperti e momenti di confronto e amicizia per i genitori, che necessitano di un luogo adeguato.
Lettere alle istituzioni, (Asl, Provincia, Comune), incontri con gli assessorati monzesi competenti, non hanno al momento sortito alcun effetto. Intanto le attività proseguono, con caparbietà, ma con i brividi, e anche con i malumori di chi, come la presidentessa Manuela Colombo, dedica all’associazione gran parte delle sue giornate. «La mancanza di un contratto ufficiale di locazione – spiega Colombo – ci preoccupa, anche alla luce del fatto che gli edifici dell’ospedale vecchio non sappiamo quale destino possano avere».
Nonostante le difficoltà “Capirsi down” continua, attraverso il suo impegno, a sollecitare uno sguardo diverso nei confronti delle persone che hanno un cromosoma in più. Uno sguardo con la lente dell’integrazione, delle potenzialità, per creare intorno a questi ragazzi una rete di rapporti in grado di evitare la chiusura in un mondo fatto sì a misura, ma distante dalla vita di ogni giorno.
Colombo e gli altri volontari lanciano un appello chiaro, ben oltre le istituzioni. Se questa sede è l’unica al momento possibile, che allora sia bella e confortevole. Per farla diventare tale serve però l’aiuto di tutti: di pensionati volenterosi, pronti a dare una rinfrescata di vernice alle pareti o di qualche altro volontario in grado di mettere a disposizione del tempo libero per piccoli lavoretti. E chissà che tra i doni della Befana non spunti qualcosa in più: una sede più idonea, anche da sistemare, dove l’inverno possa trascorrere con un calore diverso. In tutti i sensi.
Arianna Monticelli