Se n’è andato, a 62 anni, un gigante della missionarietà: Padre Giancarlo Bossi era missionario del Pime, Pontificio istituto missioni estere, e ha dedicato la vita ai poveri delle Filippine. Nel 2007 il religioso, originario di Abbiategrasso, era stato rapito proprio a Mindanao da un gruppo di miliziani musulmani.
Il padre del Pime è scomparso dopo un anno di malattia; aveva trascorso oltre 32 anni nell’arcipelago delle Filippine. Per gli amici era “il gigante buono” per via della sua statura e per quella vita dedicata fino all’ultimo agli ultimi. Questo era il suo impegno missionario, in Italia come nel continente asiatico: lo aveva scelto con una vocazione adulta nel Pime, a Genova, nel 1973.
Il rapimento segna la sua missione ma non affievolisce il suo impegno, anzi. Il sequesto avvenne nel giugno 2007, la liberazione il 19 luglio, grazie anche alla collaborazione del governo italiano e di quello filippino. Tornato in Italia dopo questa vicenda, Padre Bossi ebbe la possibilità di incontrare il Papa durante il raduno dei giovani italiani a Loreto. Qui diede la sua testimonianza su quei quasi 40 giorni insieme ai suoi rapitori, musulmani fuoriusciti dal Milf (Moro Islamic Liberation Front). “Io sono stato sequestrato fisicamente, ma sono troppi coloro che sono sotto sequestro della povertà. La loro prigionia può durare una vita”, è la frase che meglio riassume l’animo di quel gigante della carità che è sempre stato. Disse che il suo rapimento era “una grazia”. Sì, proprio una grazia. ”Il rapimento è parte della mia missione – ha scritto -, non posso cancellarlo. Quanto è accaduto mi ha precisato la chiamata a costruire un mondo in cui tutti siamo fratelli, pur nella diversità delle nostre fedi”. Vogliamo ricordarlo così, con queste parole che sono l’essenza della sua missione, della sua vita e di tutto (tanto) quello che lascia anche a noi.
Arianna Monticelli
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