Auguri Pino: festa per i 70 anni dell’istituto Hensemberger di Monza

L’Hensemberger compie 70 e li festeggia sabato 7 maggio con una serie di iniziative. Ma c’è di più, per il “Pino”: la lunga lettera di un ex studente della scuola che ricorda prof e vita in quella scuola. Eccola.
Una classe del 1947, ancora nella vecchia sede
Una classe del 1947, ancora nella vecchia sede Fabrizio Radaelli

Il Pino festeggia i suoi 70 anni sul territorio. L’istituto Hensemberger ha in programma diversi appuntamenti per sabato 7 maggio da condividere con la città, i docenti hanno organizzato per la mattinata un momento in Arengario in cui i ragazzi delle seconde illustreranno il progetto Peer education, un intervento di prevenzione al tabagismo, a partire dalle 9. Alle 11 ci sarà un flash mob sullo stesso tema realizzato sempre dagli studenti e coinvolge diversi istituti che promuovono salute, nel pomeriggio la festa si sposterà a scuola. Dalle 18 l’istituto sarà aperto con la mostra “presente-passato” e l’esibizione del gruppo musicale del Pino, seguirà un momento conviviale sino a conclusione della festa che vuole coinvolgere tutta la città, da chi è cresciuto tra queste mura a chi ci lavora. Intanto, una lettera di ringraziamento per i prof dell’istituto a tanti anni di distanza. Eccola:

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Terminate le scuole medie presso l’istituto SM Bellani (allora succursale della media San Rocco), scelsi di frequentare l’istituto tecnico Hensemberger. Era il lontano 1971 ed il biennio, come succede ancora oggi, era collocato presso lo stabile dei padri Pavoniani (centro Artigianelli) di via Magenta. Fui molto felice di ritrovare in classe molti compagni di terza media ed altri amici di quartiere, in totale eravamo 30 studenti scalmanati. La classe assegnata era la 1^ F (oggi occupata dalla 2^A2) ed il Consiglio di Classe della, per me mitica, 1^ F, era così formato: Prof.ssa Gianfrancesco Italiano-storia; Prof.ssa Magistrelli – Inglese; Prof.ssa D’Alba – Chimica; Prof.ssa Tenchini – Scienze; Prof. Marcante – Matematica; Prof. Ferrario – Fisica; Prof. Confalonieri – Disegno; Prof. Massardi – Educazione fisica; Prof. Silla – Reparti di lavorazione; Prof. Angelillo – Laboratorio di chimica.

Due insegnanti di questo elenco sono poi diventati Dirigenti Scolatici, mi riferisco alla Prof.ssa Magistrelli ed al Prof. Marcante. Chiedo scusa in anticipo se, per dimenticanza, ho tralasciato qualche insegnante, ma la memoria si sa che è selettiva e a volte può giocare brutti scherzi. E’ vero però che più si invecchia e più il ricordo dell’infanzia ed adolescenza diventa vivido nella nostra memoria.

Quel periodo è rimasto nel mio cuore e mi piacerebbe condividerne il ricordo, di alcuni di quei momenti di vita scolastica, passati insieme con i mie ex-insegnati, nella speranza che possa fare loro piacere.

Ricordo perfettamente la prima volta che consegnai la tavola di disegno al Prof. Confalonieri (scomparso purtroppo qualche anno fa). Mi disse: “Neri questo disegno è pleonastico!!” Gli risposi: “Si va bene prof., ma che voto mi mette?” e lui, guardandomi con aria compassionevole, pronunciò il suo giudizio: “Quattro!”. Da allora associai, erroneamente, il termine “pleonastico” a disastro grafico.

Ricordo un altro episodio in cui, siccome io e il mio amico Fernando stavamo parlando tra noi con un tono di voce un po’ troppo alto, ad un certo punto il Prof. Confalonieri ci invitò, in modo molto deciso ed infastidito, ad avvicinarci alla cattedra chiedendoci: “Come vi chiamate?”. Io pensai subito, ecco ci siamo, prenderò la prima nota della mia vita. All’unisono rispondemmo: “Rossi e Neri!!”. Ci guardò allora con lo stesso sguardo di un drago che si prepara ad emettere la fiammata per ridurti in cenere. E lui, persona colta e raffinata, in genere sempre molto tranquilla, urlò stizzito: “Non prendetemi per il c…!!” Spiegammo allora al nostro insegnante che effettivamente Rossi e Neri erano i nostri veri cognomi, che lui verificò controllando il registro di classe. A quel punto, graziandoci dal punto di vista disciplinare, ci mandò al posto chiedendoci di smetterla, e nel farlo vedemmo nel suo sguardo un sottile ghigno.

Ricordo che, ogni volta che facevamo la verifica di Fisica, il Prof. Ferrario si sedeva sulla cattedra per controllare meglio. Se qualcuno osava chiedere informazioni al compagno di banco, il prof. si rivolgeva al malcapitato dicendogli: “Metti un meno uno”. Il meno uno bisognava segnarlo sul foglio del compito vicino al proprio cognome. A volte capitava che qualcuno tentava di fare il furbo e non si segnava il meno uno sul foglio. In quel caso, quando il Prof. riconsegnava il compito corretto al malcapitato, il voto era un bel 4 anche se per caso avesse raggiunto la sufficienza. Lo studente allora gli faceva notare che gli aveva detto di mettere meno uno e quindi la sua valutazione doveva essere cinque (6-1), ma il Prof. Ferrario con molta calma gli faceva notare che, poiché non aveva segnato la penalità sul foglio, si prendeva un altro meno uno per punizione. Nessuno si permetteva allora di contraddirlo e non potemmo far altro che inchinarci alla sua “Grandissima memoria!!!”.

Ricordo ancora che la professoressa Gianfrancesco, dopo aver spiegato diversi capitoli dei Promessi Sposi, iniziò le verifiche con una serie di interrogazioni orali sull’argomento. Una mattina fece la seguente domanda ad un mio compagno di classe: “Cosa sono le gride manzoniane?”. Il mio compagno rispose con convinzione che le “gride” manzoniane erano quelle che lanciava Don Abbondio dalla finestra della canonica che guardava sulla piazza “aiuto! aiuto!” per avvisare il sagrestano Ambrogio. Scoppiammo tutti in una fragorosa risata, compresa naturalmente, la Prof.ssa Gianfrancesco.

Un giorno, era da poco iniziata la lezione di Matematica, bussarono alla porta della classe e il Prof. Marcante disse di entrare. Si affacciò alla porta un gruppo di studenti di quarta e quinta, che si presentò come “collettivo degli studenti Hensemberger”, chiedendo a noi “primini” di uscire dall’Istituto perché era stato indetto uno sciopero. Il Prof. Marcante con fare serafico li ascoltò e li congedò con garbo. Chiusa la porta, e notato che alcuni di noi si erano già alzati ed erano pronti ad uscire, ci invitò a sederci, cominciando a porci tutta una serie di domande. Le più importanti erano se sapevamo cosa fosse uno sciopero, quando lo si indiceva, e cosa comportava lo sciopero effettuato, per esempio, da nostri genitori. Lui ci spiegò infatti che l’adesione ad uno sciopero comportava sacrifici in termini economici.

Con la parola, che devo dire non gli ha mai fatto difetto, con il ragionamento, sempre pacato e rigoroso, era capace di farci discutere e soprattutto a farci comprendere certe dinamiche in un momento della nostra vita di quindicenni legata ad un periodo storico, politico e sociale molto particolare. Qualcuno magari storcerà il naso, ma per me, anche questo era scuola! Va ricordato che allora si passò, in brevissimo tempo, dal confronto allo scontro ideologico, con le conseguenze a tutti ben note.

Questi sono solo alcuni dei momenti di vita scolastica che ricordo di quel mitico anno 1971. Spero di non aver sovrapposto o alterato troppo gli eventi e le persone in modo che si possano verosimilmente riconoscere.

Sono convinto che intere generazioni hanno vissuto e vivranno momenti esilaranti, noiosi, impegnati, con i loro insegnanti, e che questi momenti resteranno, per sempre, nel cassetto della loro memoria.

Forse anche i miei ex-insegnati, come me, sono passati da varie “definizioni” della figura del docente, legate molto spesso al periodo storico o a mode pedagogiche, che non hanno affatto aiutato a definire la nostra funzione, ma hanno solo creato, almeno per me, una dissociazione mentale a tutt’oggi non risolta.

Andiamo con ordine, prima definiti “insegnanti educatori” poi di lì a poco la smentita (come si diceva a miei tempi con un “Contrordine compagni!”), molti “professoroni” ci spiegarono che gli insegnanti non potevano definirsi educatori perché l’educazione era una prerogativa esclusiva della famiglia. Gli insegnanti non dovevano permettersi di invadere un campo sacro come la famiglia.

Poi venne il tempo degli “insegnanti formatori” e di seguito un altro contrordine, ci ricordarono che i nostri studenti non erano fatti di plastilina o di creta. Venne la volta degli “insegnanti informatori”, ma poi ci rammentarono che gli studenti non erano dei contenitori vuoti da riempire (meglio una testa ben fatta che una ben piena!). Il periodo più esilarante fu quando considerammo gli studenti come “utenti”. Ed allora, per alcuni di noi, venne fuori il talento nascosto e forse represso di “venditore”. Fu quello il periodo degli anni ’90, del: “Signora le do tre fustini di Dash e ne paga due!!”, ci rubavamo gli studenti tra le varie scuole a colpi di progetti, teatro, giornalino e via di seguito. La definizione più bella di fine anni novanta fu quella di “insegnanti professionisti”. Qui devo dire che faccio un passo indietro e non mi addentrerò in un ginepraio dal quale potrei uscirne sanguinante. Anche perché alla parola “professionista” associo subito una canzone di De Andrè: “…..Dove sono andati i tempi o per Giunone quando ci voleva per fare il mestiere anche un po’ di vocazione….”.

Mi piace ricordare quello che disse il Prof. Romei ad un corso di aggiornamento, che noi non potevamo definirci “professionisti” perché non eravamo ancora capaci di lasciare fuori dall’ambito istituzionale, come per esempio il Consiglio di Classe, i nostri contrasti personali. Oggi si direbbe incapacità di gestire i conflitti. Lui ci fece l’esempio bellissimo della sala operatoria: non è che se c’è un contrasto tra l’anestesista e il primario, durante l’operazione, l’anestesista, per fare uno sgarbo al primario, può dare una dose letale di anestetico al paziente. Quanti studenti abbiamo perso nei nostri Consigli di Classe di fine anno per dosi letali di anestetico?

Devo ricordare altre definizioni appiccicate all’insegnante: “insegnante facilitatore”, “insegnante tutor”, “insegnante autorevole”, “insegnante assertivo” e via di seguito.

Per anni hanno sempre sentito il bisogno di mettere “qualcuno” al centro del sistema educativo.

In passato era lo Stato, con il suo apparato burocratico fatto di leggi, circolari, e circolari esplicative che dovevano spiegare quelle contorte e criptiche che molto spesso non si riusciva a decodificare neanche avendo a disposizione la Stele di Rosetta!

Poi al centro vennero messi i Presidi, quindi fu la volta della famiglia e ultimamente è quella dello studente. E se togliessimo tutti dal centro del sistema? Così nessuno potrà essere accusato di geocentrismo. Finalmente tutti gli operatori della scuola in rotazione con al centro non una persona, ma solo un idea ben precisa, chiara e illuminante: “Il bene comune – il ben-essere !!!”. Vorrei ricordare che è un’operazione molto semplice da effettuare e soprattutto è a costo zero.

I miei insegnanti non hanno seguito mode pedagogiche:Vygotskij, Ianes, Rogers, Tuffanelli. Non hanno utilizzato le tassonomie di Bloom e di Guilford e non hanno messo nessuno al centro del processo educativo. Non avevano a disposizione le LIM, generazione 2.0, avevano però competenza, professionalità, pazienza, impegno, capacità d’ascolto e umanità 10.0.

Hanno fatto il mio bene.

Il sapere è sempre stato tramandato da persona a persona, e, in quanto persona, unica e irripetibile, ogni professore rappresenta anche uno speciale mondo. Questo suo mondo, in qualche modo, ce lo trasmette, insieme ai contenuti della materia. Con il passare degli anni, volenti o nolenti, scopriamo di portarci ancora dentro dei frammenti di questi mondi; e verrà forse il giorno in cui riconosceremo in loro una ricchezza. Pur con i suoi difetti e le sue limitazioni, anche il professore più strambo è sempre infinitamente meno marziano di un computer, di una cassetta registrata, di un schermo di televisore.

Questi sono stati i miei insegnanti! Senza volerli santificare ho cercato di umanizzarli tenendo conto che sono composti come tutti noi di carne e sangue, con le loro debolezze e loro virtù, con i loro pregi e i loro difetti. Ho voluto con questa lettera esprimere la mia gratitudine, senza piaggeria, anche perché non devo ricevere più giudizi o voti da loro. Il Prof. Romei definiva il gruppo Consiglio di Classe “gruppo probabilistico” in quanto i componenti non hanno avuto la possibilità di scegliersi. Fato, Provvidenza, effetto probabilistico, tutto ciò non mi interessa, so solo che io ho avuto il grandissimo onore e privilegio di aver conosciuto e di aver fatto parte di questo gruppo classe. Vorrei esprimere a questo Consiglio di Classe un Magnifico Grazie !!

Monza 28/04/2016
Prof. Vincenzo Neri

(ex studente Hensemberger Monza)