Paolo Agrati: un poeta serve solo a tradurre la poesia in parole

Ha quarant’anni. Fa la voce narrante nella Spleen orchestra. Ha pubblicato tre libri di poesia e l’ultimo è “Amore & psycho”. È un poeta. E dice: un poeta serve solo a tradurre la poesia in parole. Si chiama Paolo Agrati: un’intervista (e un video) per scoprire chi è.
Paolo Agrati
Paolo Agrati Barbara Colombo

Paolo Agrati è spudorato. Ha i sentimenti e in pensieri che gli passano direttamente alle dita e ai versi e non ha paura a lasciarli lì, sulla carta, dove sono andati a sbattere. Un amore sbagliato e un cane insultato, uno sputo e i luoghi comuni da stracciare, gli istanti meno evocativi del quotidiano scelti come l’attimo giusto, quello da raccontare. Spesso rassettando poesia dove sembrava improbabile. Eppure c’era. In fondo, dice, “le parole rimangono parole/anche se nessuno le ascolta” e così la poesia rimane poesia, anche quando nessuno la vede. Una quarantina di anni fa è nato, poi ha pubblicato tre libri (Quando l’estate crepa”, 2010, Lietocolle; “Nessuno ripara la rotta”, 2012, La vita felice; “Amore&psycho”, 2014, Miraggi). Nel frattempo ha rappresentanto l’Italia al Festival internacional de poesía de Medellín, la scorsa estate. Questa sera ci sarà anche lui sul palco del Binario 7: è il terzo capitolo della rassegna PoesiaPresente che nella formula 2015 presenta lezioni-spettacolo. Si parla di Montale. E poi c’è anche lui.

Partiamo dall’abc. A cosa serve un poeta?

Un poeta serve a tradurre la poesia in parole.

E Montale, a cosa serve?

A me è servito a crescere, a guardare le cose con un occhio più attento.

A cosa serve Paolo Agrati?

…mi sa che non lo conosco abbastanza per saperlo.

E a questo punto: a cosa serve PoesiaPresente?

PoesiaPresente è un punto di riferimento nazionale per chi vuole godere della poesia. Sta crescendo di anno in anno ed è un bene perché è riuscita finora a proporre iniziative sempre originali, a coniugare linguaggi classici e moderni, a dare corpo e presenza alla poesia.

Amore & Psycho, la sua ultima raccolta, sembra capace di tenere insieme un secolo di tradizione poetica italiana: l’ironia, la capacità di lavorare sulla metrica aggiornandola, l’equilibrio tra l’uso della parola nella forma e la capacità di condensarla soprattutto in quadri quotidiani. Di cosa si nutre la poesia italiana?

La poesia la si potrebbe intendere come s’intende la musica; c’è chi suona la classica e chi fa sperimentazioni, chi si occupa di ritmo chi di contenuti. Chi ha una cultura elevata e la mette sulla pagina, chi un po’ meno. C’è chi sa far ridere chi sa far piangere, chi vuol farsi capire e chi disegna mondi interiori inaccessibili. Ognuno scava dentro sé e trova ciò che lo alimenta. Grazie, comunque, perché la premessa alla domanda mi ha fatto un po’ arrossire, lo confesso.

Dove, e quando, ha incontrato la poesia?

La prima volta alle scuole superiori, sui libri . Poi ho cominciato ad incontrarla quasi quotidianamente, fuori dai libri.

“Si tratterà piuttosto di parole/ molto importune/ che hanno fretta di uscire/ dal forno o dal surgelante”. Ancora lui Montale. Ci si ritrova?

Montale ci dice cosa pensa di un certo tipo di creatività. È peraltro una visione romantica quella del poeta ispirato che con un guizzo crea. Un verso si soffre, si lamenta, si mastica. A volte nasce con fatica a volte con più immediatezza, ma il lavoro sulla parola è fondamentale.

Di che cosa deve parlare la poesia?

La domanda è posta male, mi permetto. Di che cosa ci parla, la poesia? Credo sia la domanda che dovremmo porci.

Ha rappresentata l’Italia in un festival internazionale. Che cosa ha capito del rapporto tra noi e il resto del mondo sul fare poesia?

Ho capito che ci sono posti, come Medellin e la Colombia, dove per motivi che mi sfuggono le persone hanno un rapporto stretto con la poesia e sono di vedute larghissime. Sono aperti a ogni genere, ascoltano, si emozionano. Oltre a quelle incontrate nelle innumerevoli case della cultura e biblioteche, c’erano 5mila persone alla chiusura del festival; dalla mattina alla sera in un anfiteatro all’aperto con pop corn e bibite. Qui abbiamo le spalle talmente pesanti che la difficoltà ad accogliere nuovi linguaggi è enorme. Non siamo in grado di vivere la poesia come qualcosa di quotidiano, accessibile, popolare.

Nella raccolta il tema dell’amore si rincorre: sarcasmo, ironia, malinconia, abbandono, un senso totalizzante dei sentimenti: perché?

Certe raccolte di poesia sono specchi di un tempo; da quello che si scrive si evince come lo si è vissuto.

Come ha lavorato sul libro? Spesso sembra che una poesia e il suo titolo parlino alle pagine successive.

Il lavoro di impaginazione è importantissimo. Dedico molto tempo alla costruzione del libro e finora fortunatamente gli editori mi hanno sempre lasciato fare. La poesia che apre e quella che chiude sono sempre scelte attentamente; i temi che incatenano i capitoli e le liriche sono molteplici e incastrati su diversi livelli con un lavoro minuzioso del quale ho molta cura. Penso che questo permetta al lettore anche più sprovveduto di fare un percorso approfondito e sensato, anche se confesso che a me capita di aprire un libro e leggere partendo da una pagina a caso. Per esempio il tema della parola, del senso dello scrivere, attraversa Amore&psycho e si sviluppa accompagnando il lettore dalla prima all’ultima pagina.

Come gestisce il rapporto tra poesia parlata e poesia scritta? Cosa di una condiziona l’altra – se lo fa?

In Amore&psycho ho messo per la prima volta sulla carta le mie poesie “parlate”, mettendole a confronto con le poesie “scritte”. Nella costruzione di questo tipo di lirica, lavoro pensando al verso assieme al corpo che lo animerà, mi lascio andare, mi diverto. Il linguaggio è meno complesso, ma non per questo più leggero. Potrei dire che non si scrive per un pubblico ma con un pubblico, nel senso che la poesia è concepita per essere un atto corale, comunicativo. La voce, il gesto fanno parte della poesia ma non possono essere scritti e tantomeno descritti. La mia sfida personale poi è quella di fare in modo che il testo “parlato” riesca a vivere anche sulla carta. Il condizionamento del secondo tipo di poesia, che fonda nel verso e non nel corpo la sua forza, rende questa sfida, se non possibile- molto più probabile.

Amore&psycho

Miraggi edizioni
2014, Torino
96 pagine, 12 euro

Dalla prefazione di Guido Catalano: “In Italia ci sono pochissimi poeti bravi viventi, d’ora in poi PBV. Paolo Agrati è uno di questi”.