Ugo Galetti (1898-1969), il pittore che ha salvato i valori della tradizione

È trascorso poco più di mezzo secolo dalla scomparsa di Ugo Galetti, il pittore cresciuto a Monza e diventato allievo di Anselmo Bucci. Carlo Franza ripercorre la sua carriera e le sue scelte stilistiche.
Ugo Galetti, I boschetti
Ugo Galetti, I boschetti

Alcuni giorni a motivo di una perizia svolta per il tribunale di Milano – procura della Repubblica- su un’opera d’arte, e dovendo essere sentito dal giudice nel corso di un’udienza in un’aula al terzo piano dell’edificio palazzo di giustizia, ebbene in quell’aula alle spalle del giudice vi era un maestoso affresco di Anselmo Bucci sul tema della Giustizia. Un nome di chiara fama quello di Anselmo Bucci, convergente sul famosissimo gruppo“Novecento”, composto inizialmente dai pittori Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gianluigi Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi, Anselmo Bucci e Mario Sironi.

Ugo Galetti (1898-1969), il pittore che ha salvato i valori della tradizione
Ugo Galetti, Ritratto di donna (1938), olio su cartone

I motivi per cui viene scelta questa denominazione del gruppo sono stati spiegati dalla stessa Margherita Sarfatti nel suo libro Storia della pittura moderna (alle pagg. 123-126): “Ora accadde che un gruppo di artisti amici discutesse un giorno, in Milano, dell’arte italiana e delle sue tradizioni. Fra questi artisti, uno – Anselmo Bucci – che per essere più vissuto all’estero più aveva dei fatti di casa nostra una visione larga e panoramica, si attardò a spiegare lungamente il carattere inconfondibile (come oggi si dice) dell’arte plastica italiana nei secoli: nel Quattrocento, nel Cinquecento, nel Seicento.

Nomi intraducibili, come la fisionomia dei nostri più intimi e cari. Non sono cifre soltanto aritmetiche, non sono termini vaghi, che designino soltanto un’epoca composta di 100 anni, ma concretano una realtà tangibile nel tempo e nello spazio. Non vi è ascoltatore distratto, che all’udirle non evochi una visione storica sfolgorante e completa, per quanto riguarda la vita dello spirito e del pensiero, ancor più che le vicende politiche. E, nella vita spirituale, la evocazione contempla specialmente la vita dell’arte, e, in modo particolare, la creazione plastica.”

E osservando l’opera di Anselmo Bucci mi è stato facile riandare al nome di Ugo Galetti (1898-1969) un artista da rivalutare nobilmente, che nato a Mantova, trascorse l’infanzia e la giovinezza a Monza perché la sua famiglia qui si era trasferita intorno al 1900, e che dopo il 1936 si spostò a Milano nel quartiere di Brera dove lavorò e visse fino alla morte.

“Ma il suo vero maestro è stato Anselmo Bucci che aveva rinnovato quell’ambiente, è Bucci che lo aveva iniziato al vero viaggio dell’arte”, parola del collega Raffaele De Grada illustre storico dell’arte che ha insegnato all’Accademia di Brera, e che scoprì Galletti anche dal versante umano e al quale non finì mai di dire grazie, perché dopo l’8 settembre del ’43 offri il suo appartamento in Via Bagutta 14 a Milano affinchè De Grada potesse nascondersi e continuare la sua opera di organizzatore partigiano. Notizia questa non conosciuta dai più.

Pittore non solo ma uomo colto, amico di Orio Vergani come ho notato dai carteggi, amico di Raffaele De Grada, amico di Leonardo Borgese critico del Corriere della Sera, e amico persino di quel grande scrittore e mio fraterno amico e mentore che è stato Leonida Repaci fondatore del Premio Viareggio (con lui fui più volte in giuria a Viareggio) il quale scrisse un testo in catalogo per la mostra alla pinacoteca del Comune di Monza. Certo, certissimo, Ugo Galetti è stato pittore di notevole capacità e umanità nelle creazioni legate alla cultura lombarda, ha sviluppato la tradizione dei Mosè Bianchi, dei Borsa, dei Pompeo Mariani e degli Eugenio Spreafico, verso tempi più vicini a noi. Fu segnalato da critici illustri, Vergani, Radice, Pica, De Volpi, Trasanna, Canevari, Bertarelli, Martellini, Carrieri, Repaci, Camesasca, Ruggelli e De Grada.

“Le colline di Galetti – ha scritto il poeta Raffaele Carrieri – si illuminano di grigi e di celesti, case che assorbono vapori mattinali crepuscolari e un poco si sciolgono nella calura meridiana, mentre altre restano immobili, fortemente contornate tra alberi e campi sotto un cielo che non conosce languori”.

Ugo Galetti (1898-1969), il pittore che ha salvato i valori della tradizione
Ugo Galetti, Ritratto di donna (1938), olio su cartone

Nonostante l’esperienza francese e parigina, voluta da Bucci, come si desume da talune lettere al giovane allievo monzese Galetti, questi non si è mai spinto nel terreno artistico e pittorico della sperimentazione, preoccupato di rimanere nel tracciato delle frontiere del gusto, pur conoscendo tutti i movimenti del primo e del secondo novecento. Fiori e giardini, colline, campi, alberi, vallate, sponde, distese d’acqua, monti, paesaggi -il ciclo di Olgiasca- ritagli di Olgiasca, Piona, Corenno sull’alto Lario, prima di Colico, e anche quei paesaggi che già Sironi dipinse a Schilpario in Val Camonica. I suoi paesaggi, i suoi scorci ( vedi Casa di Mamma Rosa), si sono misurati sempre in un caldo naturalismo padano tralasciando di proposito le scansioni novecentesche di periferie e architetture. Un vero e proprio soffio di colore, dovuto a un rosaio, o a un verde boschivo intenso, lo danno vincente a un suo personalissimo modo di intendere la pittura, tutta saggiata in una cornice ottocentesca, non vetusta, ma giovanilmente tradizionale.

È vero – come osservò anche il caro Leonida Repaci- che taluni paesaggi e talune nature morte (vedi La vecchia caffettiera) si apparentano a De Pisis e a Tosi (quest’ultimo benvoluto da Giulio Carlo Argan) “ma non si può onestamente affermare che queste influenze presenti nella sua arte solo per incidenza diminuiscano la sua personalità”.

Ugo Galetti (1898-1969), il pittore che ha salvato i valori della tradizione
Ugo Galetti, Ritratto di donna (1938), olio su cartone

E a proposito di opere, non sono da meno le opere pubbliche che ci ha lasciato, ha dipinto pale d’Altare per il capitolo di Casamari a Frosinone, per la chiesa dei S.S. Apostoli di Busto Arsizio, per la Casa Madre della Santa Cabrini, per la Casa Madre Santa Capitanio, ed ha illustrato diverse vite di Santi. Fra l’altro nel 1927 passò un anno in Abruzzo presso il convento di Padre Stanislao dello Spirito Santo per illustrare la vita d S. Gabriele; disegnò più di 100 tavole che utilizzò poi per illustrare il libro su S. Gabriele dell’Addolorata. Gli studi di pittura li aveva compiuti principalmente a Milano e a Roma; in quest’ultima città dimorò stabilmente dal  1918 al  1921 lasciando anche alcuni affreschi conservati nel museo di Castel S. Angelo.

Preziose testimonianze e disseminazione di lavori suoi in tutta Italia come si è visto, al di là di Monza e della Brianza. Non s’era sbagliato Leonida Repaci quando sentenziava in un testo di presentazione per una mostra di Galetti alla Villa reale di Monza: “Il pittore c’è, e notevole, e ch’egli si sia maturato senza sbandamenti, senza fretta, è una conferma delle sue virtù naturali”.

Carlo Franza

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Ugo Galetti (1898-1969), il pittore che ha salvato i valori della tradizione
Ugo Galetti, Ritratto di donna (1938), olio su cartone

Nato nel 1949, Carlo Franza è uno storico dell’arte moderna e contemporanea, italiano. Critico d’arte. È vissuto a Roma dal 1959 al 1980 dove ha studiato e conseguito tre lauree all’Università Statale La Sapienza (lettere, filosofia e sociologia). Si è laureato con Giulio Carlo Argan di cui è stato allievo e assistente ordinario. Dal 1980 è a Milano dove tuttora risiede. Professore straordinario di storia dell’arte moderna e contemporanea (Università La Sapienza- Roma) , ordinario di lingua e letteratura italiana. Visiting professor nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e in altre numerose università estere. Giornalista, critico d’arte dal 1974 al 2002 a Il Giornale di Indro Montanelli, poi a Libero dal 2002 al 2012. Nel 2012 ritorna e riprende sul quotidiano “Il Giornale” la sua rubrica “Scenari dell’arte”.