Presidio di un’ottantina di lavoratori di fronte al quartier generale dell’azienda Canali, a Sovico. Le organizzazioni sindacali Filctem Cgil e Femca Cisl unitamente alle rsu aziendali hanno manifestato lunedì 20 novembre, dalle 12.30 alle 14.30 davanti ai cancelli della sede di viale Lombardia con striscioni e bandiere per sostenere i lavoratori “visto il permanere dell’indisponibilità da parte dell’azienda al ritiro della procedura di licenziamento dei 134 dipendenti e a quella di attivare un tavolo sindacale, per un confronto sul problema occupazionale”.
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Il percorso di mobilitazione e di lotta ha quindi portato al presidio pacifico ed autorizzato di lunedì 20 di fronte alla principale sede brianzola dell’azienda specialista in capi sartoriali di lusso ed è prevista un’ulteriore iniziativa di mobilitazione con un volantinaggio che si effettuerà sabato prossimo di fronte ad uno show room di Milano.
Canali a metà ottobre ha comunicato come noto la chiusura, prospettata a fine anno, del sito produttivo di Carate Brianza. Per i 134 lavoratori, di cui 130 donne, si profila così il licenziamento nonostante nell’ultimo anno, proprio per evitare questo epilogo, i dipendenti avessero firmato i contratti di solidarietà riducendosi drasticamente le ore lavorative. Ma tutto ciò evidentemente non è bastato.
«Non vogliamo arrenderci, crediamo ancora e nonostante la totale mancanza di confronto da parte dell’Azienda, che ci possano essere spirargli, una mediazione, per evitare la chiusura dello stabilimento- afferma Rosanna Tremolada, Rsu Cgil- la chiusura dello stabilimento di Carate ci è stata comunicata a sorpresa, è stato un fulmine a ciel sereno nonostante Canali avesse prospettato alle lavoratrici un futuro ben diverso. Si tratta di una decisione che ha un forte impatto sociale negativo: sui lavoratori, per lo più donne, sulle famiglie coinvolte e sul territorio». I manifestanti hanno puntato il dito in particolare sui contestati metodi comunicativi dell’azienda. «Non ci saremmo mai aspettati questa decisione, ma fa ancora più male perché ci sentiamo illuse – affermano alcune lavoratrici – l’azienda ad oggi non vuole aprire tavoli di confronto. Non ci saremmo mai aspettate un comportamento simile».