Monza – Era «vittima dei propri istinti, e carnefice di chi, di quegli istinti diventa oggetto». Espressione del pubblico ministero Franca Macchia ripresa dal giudice del tribunale di Monza Giuseppina Barbara nelle motivazioni della sentenza che ha condannato a 20 anni di reclusione (l’accusa ne aveva chiesti 30) Antonio Vito Giordano, 45 anni, l’uomo del box degli orrori di Cinisello Balsamo, quello dove i carabinieri scoprirono il cadavere di Gianina Ganfalianu, prostituta rumena di 43 anni barbaramente uccisa a seguito di sevizie di natura erotica.
Oltre alle accuse di omicidio volontario, Giordano, muratore e buttafuori in una balera di Cinisello, è stato condannato anche per violenza sessuale, tentata e consumata nei confronti di altre tre prostitute che lavoravano nelle strade tra Monza e Cinisello. Il giudice, nelle motivazioni del provvedimento, ha sottolineato la brutalità della condotta dell’uomo, «finalizzata a soddisfare in modo brutale le proprie perversioni», sottoponendo la vittima «a sevizie che ne annichilivano la dignità umana». Al quarantacinquenne, tuttavia, sono state concesse le attenuanti generiche.
«Una vita penosa» – Il giudice, nelle motivazioni, ha condiviso le valutazioni del pm, che aveva comunque chiesto il riconoscimento delle generiche. «Da un lato appare rilevante la particolare efferatezza dei reati commessi che offendono donne già provate da condizioni di vita penose; dall’altro, però, sarebbe iniquo non tenere conto delle condizioni di vita altrettanto disagiate dell’imputato». Questo infatti ha avuto un «padre suicida», oltre che una sorella malata e un «basso livello di scolarizzazione». In più è dipendente da alcol e cocaina, ma non per questo da considerarsi «disturbato di mente».
Chiesti trent’anni – Pubblica accusa e giudice, tuttavia, non si trovano d’accordo sulla quantificazione della pena, per questioni di natura tecnico-procedurale. Trenta gli anni di reclusione chiesti dall’accusa (derivanti dalla riduzione dell’ergastolo, per via della scelta del rito abbreviato operata dall’uomo, difeso dagli avvocati Massimo Bordon e Federico Cozzi). Venti quelli inflitti dal gup, che è partito da 30 anni ridotti di un terzo per il rito. Le accuse non riguardano solo l’omicidio della rumena, ma anche episodi di violenza nei confronti di altre tre ‘lucciole’. Due immigrate originarie del Ghana, per esempio, alle quali, in un drammatico incidente probatorio, era bastato guardarlo di spalle per riconoscerlo. Una era stata portata nel garage, ma era fuggita, l’altra invece era stata legata alla macchina e sopraffatta, prima di divincolarsi e scappare.
Federico Berni