Eccomi già di ritorno a casa dopo anche questo concerto, a Grenoble. Sono partito con poche aspettative per lo show di ieri ed invece Dolores e soci mi hanno spiazzato. Questo tour si conferma un tour pieno di sorprese. Va be’, iniziamo dal principio.
Tutto è iniziato venerdì sera con due buonissime bottiglie di vino bianco gelato, che è andato giù che era un piacere e che mi ha permesso di addormentarmi alle undici. Ieri mattina la sveglia è suonata alle 4.30, giuro che avevo una gran voglia di prenderla e buttarla addosso al muro, ed invece ho preso tutte le mie forze e ho strisciato fino al bagno. Ho finito di preparare le ultime cose mi sono messo in macchina ed alle 5.25 ero in piazzale Maciacchini.
Mi guardavo intorno e c’erano un sacco di giovani che tornavano dalla serata e ho pensato per un attimo a quando lo facevo io. E mi sono sentito un vecchio ma vecchio che più vecchio non si può. Alle 5.30 sono arrivati Lorenzo e Mara e finalmente ci siamo messi in viaggio verso Grenoble senza però dimenticarci di Sara che ci aspettava a Greggio. Ed ecco che si materializza la prima scena comica della giornata; arriviamo alla fermata dell’autostradale e all’improvviso la vediamo comparire dal sottopassaggio… tutta imbacuccata e di corsa… non ho fatto in tempo a farle una foto che era già salita in macchina.
Il viaggio prosegue senza intoppi, a parte l’agitazione che mi metteva la signorina alla radio dentro al tunnel del Frejus (ho seri dubbi che si scriva così) – già è buio, già a stretto e claustrofobico, già fa un caldo cane (manco fossi al centro della terra), ci mancava solo lei che ogni due minuti e mezzo ti ripeteva “tieni la distanza di sicurezza, se succede qualcosa abbandona immediatamente la macchina”: miiii, non avevo l’ansia per il concerto ma me la doveva far venire un messaggio registrato alla radio.
Arriviamo a Grenoble alle 10 e… il nulla. Siamo arrivati davanti al luogo del concerto e non c’era nulla e nessuno, fino a quando ci accorgiamo che c’era Camille. Facciamo la spesa al supermercato e ci mettiamo in coda; coda è una parola grossa, anzi grossissima, visto che rimaniamo in cinque almeno fino alle 4 del pomeriggio, l’unico pensiero che avevo era “porca vacca potevo evitare di svegliarmi così presto”.
La giornata, nonostante la compagnia che era fantastica (e continuo ancora a ringraziarli per esserci stati) non passava più, i minuti di attesa diventavano ore, le ore mesi. Tante le immagini belle e divertenti della giornata trascorsa lì, fuori da un capannone; da Sara e le sue pose plastiche per mettersi comoda su un masso, alla francese dai denti completamente neri che però è stata così carina do offrire il caffè a tutti (anche se all’inizio abbiamo tutti pensato che lo facesse per drogarci e fregarci il posto… e anche i reni), per finire con l’immagine di Dolores che esce dal venue di corsa (camminando velocemente in realtà) in tuta da ginnastica insieme a un vecchietto, ti saluta e sparisce al di là di un cavalcavia senza mai più farne ritorno.
E comunque finalmente arrivano le 18.30 e aprono i cancelli. E finalmente capisco perché odiavo così tanto i francesi. All’apertura del primo cancello l’omino della sicurezza faceva entrare un po’ di gente alla gente alla mia sinistra, un po’ di gente alla mia destra e io che ero in mezzo neppure per l’anticamera del cervello. Grazie al cielo il mio fisico in certe situazioni regge ancora e correndo ho recuperato tutte le posizioni perse e sono arrivato per primo al controllo borse.
Ed è proprio qui che il mio odio verso i cugini d’oltralpe si è trasformato in qualcosa di molto più profondo. Tutti sono passati senza problemi ai controlli, il mio uomo della sicurezza mi ha controllato da cima a piedi, mi ha aperto anche il portafogli, controllato quanti soldi avevo, richiuso il portafogli, controllato sotto la giacca, mi ha messo le mani in posti alquanto imbarazzanti. Quando ha finito tutto, manco fossi stato un narcotrafficante ricercato in tutto il mondo, e mi ha lasciato andare, poco ci mancava che il concerto fosse già iniziato. E qui ringrazio tutti un’altra volta per avermi tenuto il posto.
Vi suggerisco di andarvi ad ascoltare appena possibile qualche cosa del gruppo di supporto che segue i Cranberries per tutto il tour francese… sono irlandesi di Dublino e suonano mica male… cioè finalmente un gruppo di supporto che non ti fa cascare gli attributi durante l’attesa. Si certo, magari se vi dico come si si chiamano sarebbe cosa giusta. Il loro nome è Kodaline (penso).
Ad un tratto si spengono le luci e finalmente entrano. Partono i primi accordi di Analyse e così capiamo che tutti i nostri scongiuri hanno funzionato; niente Dreams come prima canzone, e quindi niente sciopero. Eravamo già pronti a giraci di spalla ed abbandonare la prima fila (certo, e voi ci credete vero?). Analyse, Animal Instinct, Just my Immagination.
Diciamo che i francesi non è che sono molto coinvolgenti, eravamo noi sei a muoverci e saltare come pazzi, tutti gli altri fermi come mummie o al massimo battevano le mani. Dietro di me però c’era una coppia di anziani (ma questa volta davvero) che erano troppo belli da guardare, ballavano e cantavano anche loro, anzi avevano anche più energie di me.
Era bellissimo guardarli, non so perché ma ogni volta che mi giravo ad osservarli mi venivano gli occhi lucidi, erano dolcissimi e ogni volta pensavo se anche per loro quelle canzoni erano legate a ricordi indelebili della loro vita come l’ho è per me. Chissà se la voce di Dolores è stata anche per loro l’autrice della colonna sonora della loro vita.
Una setlist spettacolare, una Dolores spettacolare, forse truccata un po’ malino. Per una sera non è più stata la mia nanerottola preferita ma un piccolo panda. Aveva due occhi come se le avessero tirato due pugni. Quella voce ferisce sempre, ferisce ogni volta che parte a cantare certe canzoni (se poi alla solita innominabile ci attacca anche Electric Blu è la fine) ma allo stesso tempo cura la mia anima, ogni volta che la sento per me è guarire ancora un po’ di più. E’ fondamentalmente felicità allo stato puro. Ed ora come ora la felicità è veramente una cosa preziosissima. Di questo, forse mi ripeterò, sarò grato a Dolores per tutta la vita.
Finito il concerto ci siamo recati in hotel, entriamo in camera e scopriamo subito che manca qualcosa. Manca il bagno. O meglio il bagno c’è ma è a pezzi, una porta aperta sopra e sotto nasconde la tazza, su un palo si trova il lavandino con una luce che manco il millennium falcon poteva permettersi, verde fluorescente a tempo (nel senso che potevi accenderla ma non spegnere) e in un angolo il box doccia completamente di vetro. Adesso io dico, ok che la camera si chiama family, ma io neppure davanti ai miei mi metto a fare la doccia in bella vista. Alla fine mi sono arreso, in mutande, ma doccia fu.
Abbiamo scoperto che Lorenzo nel sonno parla, fa dei veri e propri discorsi… e fa dei sogni in tempi brevissimi; a mezzanotte è andato a letto e a mezzanotte e cinque minuti si sveglia chiede che ore sono e poi esclama: “Ah, ho dormito pochissimo e ho fatto sogni allucinanti”. Detto ciò si ributta giù sul letto, si riaddormenta in un nanosecondo (ma come cavolo fa?) e ricomincia a parlare con i suoi amici nel mondo di orfeo.
Stamattina appena svegli più che una camera di hotel sembrava una stanza di ospedale, gente che tossiva, gente che starnutiva, gente con dolori in tutte le parti del corpo, gente senza voce. Una giornata da leoni e poi il giorno dopo una tragedia. Appena pronti per partire ci siamo rimessi in macchina destinazione casa, tutti e quattro in silenzio, tristi perché era finito tutto, con già la nostalgia per quello che avevamo provato la sera prima e con in mente già come poterci organizzare per le prossime date. Dolores, manca una settimana e ci si rivede.
Alessio
Ps. Devo trovare un modo per farmi perdonare da Dolores, ad un certo punto l’ho scambiata per una vecchietta di 96 anni. Se per caso un giorno leggerai queste parole sappi che mi mancano diverse diottrie e che mi ero svegliato presto la mattina e non ero per niente lucido.