Monza – Tanto per incominciare ci sono molte più persone che scrivono poesie di quante ne leggano. E allora se decidi di vivere stampando piccole poesie su piccoli libri a piccoli prezzi, non c’è scampo: nessuno diventerà ricco. A dire il vero Alberto Casiraghi, il problema, non sembra se lo sia mai posto. Ha iniziato per gioco e continuato per passione. E tanto gli basta. «Soprattutto perché i miei libri piacciono a tutti», racconta, e tutti portano in copertina il nome della sua casa editrice, uno dei piccoli miracoli dell’editoria italiana: Pulcinoelefante, che una mostra organizzata dagli Amici dei musei ospiterà dal 25 febbraio nella saletta reale della stazione, in compagnia di un altro pilastro della microeditoria di qualità, Tallone.
Pulcinoelefante è nata così: uno scherzo, in un pomeriggio ventoso, dice l’editore, nel 1982, con un torchio a mano e i caratteri mobili da comporre prima di schiacciarli su un foglio e illustrarli. Quando l’Italia ha vinto i mondiali, viene da dirgli, ma lui con gli occhi chiari che han compiuto sessant’anni lo scorso agosto (proprio mentre Pulcinoelefante ne festeggiava trenta) e un caffè sul fuoco per dare il benvenuto all’ospite, guarda e non capisce: «Io mi ricordo di Mandela in carcere, quell’anno». Da quel giorno a oggi ci sono novemila titoli pubblicati, con regole quasi ferree: uno al giorno tranne le domeniche («io sono un po’ della scuola dei muratori»), trenta copie di tiratura, quindici all’autore, quindici all’editore, prezzi identici chiunque sia a firmarli.
Alda Merini, Bruno Munari e quella bambina che una volta gli rispose: «Quando non so cosa fare, rido». A dirla tutta quell’aforisma arrivato diritto dall’infanzia è diventato uno dei rari testi ristampati e sempre venduti dell’editore di Osnago, in casa Casiraghi (o Casiraghy, come si firma), a dimostrazione che probabilmente ha più ragioni lui di chi – come Gillo Dorfles – gli ha suggerito di vendere a peso d’oro volumetti che negli anni sono diventati rarità gustose per il mercato dei collezionisti. Quello fatto da Maurizio Cattelan, per esempio, «che allora non era certo famoso, ma aveva tante idee, e ha dormito lì, su quel divano», proprio dove ora il gatto Igor sonnecchia a sua volta alzando appena una palpebra, abituato com’è a veder passare qualcuno nelle stanze della casa-tipografia.
Di persona oppure no: Gaetano Orazio e Bruno Munari, Enrico Baj, Alberto Schwarz e Dorfles, Armando Fettolini e Arturo Scheiwiller, Parmiggiani, Sebastiano Vassalli, Fernanda Pivano, Mimmo Palladino, Franco Loi e Maria Corti. Una rete fitta di incontri e memorie che le pareti della casa di Osnago continuano a raccontare. Compresa un’epigrafe incorniciata all’ingresso che ricorda quel giorno in cui, straordinariamente, Alda Merini non chiamò. «Perché lo faceva in continuazione, tutti i giorni, aveva sempre qualcosa da raccontare» e Alberto Casiraghi aveva orecchie buone per ascoltare. È con lei che la Pulcinoelefante ha voltato pagina, «quando ancora il mondo della letteratura nemmeno la considerava. Sono passati vent’anni. Per i primi dieci avevo stampato un libro al mese. Dopo di lei ci sono stati anni in cui ho stampato anche quattrocento titoli. Chiamava e dettava trenta pensieri, poesie o aforismi per volta. Ne sceglievo tre e li stampavo». Sono diventati 1.200 plaquette.
Gli incontri poi si sono moltiplicati, ma non sono cambiate le regole di Pulcinoelefante e quel logo nato da un disegno che si era inventato Casiraghi per i bambini e non è più cambiato: il simbolo di piccoli enormi libri d’artista il cui prezzo si è adeguato solo al costo dei materiali e la tiratura no. «Non girano soldi, no, ma così è più facile essere liberi. E poi con che diritto dare un prezzo diverso alla Merini e a quella bambina? Il mio è un prezzo poetico», che lo porta in giro per l’Italia con una valigia di libri per volta a raccontare quello che fa in qualche mostra, ogni tanto all’estero, New York inclusa, «dove mi avevano chiesto di restare per insegnare loro come si fa a stampare a caratteri mobili».
Un’idea sarebbe questa, insegna Casiraghi: abbattere una parete di casa per farci entrare una pressa tipografica degli anni Cinquanta, come ha fatto lui. Poi scegliere carta di qualità, come la Hahnemuhle, che usano gli artisti, e lui. Quindi trovare i caratteri mobili, quelle poche tipografie sopravvissute, quando chiudono, finiscono per buttarli. E infine scegliere il piombo migliore, quello disegnato da Bodoni nel Settecento, o i Garamond: sono curve che non si dimenticano. È tutto? Manca solo un po’ di fantasia, quella che trovarono Casiraghi e Munari per metterci un martello, una volta, in un libro. «Serviva per rompere i torroni più duri». E servirono trenta martelli.
Massimiliano Rossin
Pagine d’arte
Saletta reale della stazione ferroviaria di Monza
Dal 25 febbraio al 9 marzo da martedì a sabato dalle 15 alle 18 o su appuntamento contattando gli Amici dei musei (si apre in popup)
Inaugurazione lunedì 25 febbraio alle 18