Monza, cure palliative a domicilioRealtà grande, ma sconosciuta

Migliaia di visite mediche e infermieristiche, a casa dei malati terminali. Sono numeri importanti quelli del servizio offerto dalla Fondazione Don Gnocchi a Monza e comuni limitrofi. Eppure nella mentalità medica e sociale non sono giustamente considerate.
Monza, cure palliative a domicilioRealtà grande, ma sconosciuta

Monza –  Cure palliative domiciliari. Sono quelle che accompagnano i moribondi che hanno scelto di passare a migliore vita in casa loro. L’Hospice santa Maria delle grazie, un centro gestito dalla Fondazione Don Gnocchi, dal 2005 se ne è fatto carico arruolando medici e infermieri professionali anche all’esterno della struttura. Il servizio, attivo per i comuni di Monza, Villasanta e Brugherio, che garantisce reperibilità tutto 24 ore su 24, anche nelle festività, ha numeri davvero importanti.

Nell’anno trascorso sono state 2782 le visite mediche; 6220 quelle infermieristiche , 817 dell’operatore sanitario, 59 della psicologa e 5 dell’assistente sociale. A questa attività va assommata l’assistenza negli ultimi giorni di vita (la degenza media è di 18 giorni) agli ospiti della struttura di via Montecassino. Sono stati 329, in gran parte provenienti dal territorio brianteo, il 30% dall’area milanese.

“L’Hospice è nato nel 2000, le cure palliative domiciliari nel 2004: il tutto –spiega Carlo Cacioppo, 62 anni, medico direttore – è gratuito per le famiglie, perché coperto dal servizio sanitario nazionale”. E aggiunge: “Volevamo che le famiglie potessero scegliere tra le due opportunità, se tenere il loro caro a casa o se collocarlo in una struttura protetta.

Cosa è cambiato se è cambiato il servizio in questi ultimi anni?
“A parte la contrazione dei fondi a disposizione, un problema che riguarda tutto il mondo sanitario e non solo, ho visto che arrivano da noi malati sempre più gravi”.

Come mai?
“Dagli ospedali e dai medici di famiglia arrivano segnalazioni probabilmente tardive. Alcune volte ci pare che le cure causali, quelle specifiche per la malattia, alcune chemioterapie, ad esempio, vengano proposte quando la loro utilità, per l’ammalato, non esiste più, mentre sarebbe utile un’assistenza “dolce” e globale, che tenga conto più dei sintomi e delle paure, piuttosto che della patologia di base”

Un problema di mentalità medica o c’è dell’altro?
“C’è dell’altro. Un paradosso. Nonostante i media, stampa e anche cinema, abbiano fatto conoscere l’esistenza dell’hospice e delle cure palliative, qualche malato non vuole usufruirne, perché non vuole essere considerato ‘terminale’. E’ il tabù della morte, che non riguarda solo i medici, ma l’intera società”.

Come si può cambiare la mentalità?
“Credo che occorra un processo culturale, che non sarà breve. Cominciamo dall’università: alle cure palliative è riservata poca attenzione. Solo adesso cominciano a inserire nell’insegnamento alcuni corsi esplicativi, ma poca roba e non sono obbligatori. Il risultato è che escono medici che non conoscono le cure palliative. Poi, però, si deve intervenire nella società, perché si scopra il senso del limite insito nell’uomo, della sofferenza e della morte, che del limite è l’espressione più grande.”