Live, decibel, deroghe E la lettera al ministro

Luogo, tempo, volume. E poi su tutto ci sono i costi. Dura la vita di chi fa musica dal vivo, nei locali o all’aperto. L’ha sottolineato Marco Paolini al Carroponte, l’ha spiegato l’ex assessore Stefano Boeri in una lettera aperta al ministro Massimo Bray.
Il Carroponte di Sesto San Giovanni
Il Carroponte di Sesto San Giovanni

«Milano sei come Cenerentola, hai una legge sui decibel che incombe sulla testa. A mezzanotte e zero uno… Ma ci sono ancora sette-otto minuti». L’attore Marco Paolini non ci ha girato troppo intorno lunedì sera al Carroponte di Sesto San Giovanni: erano le 23.52, quasi 53; e con un occhio al pubblico e l’altro all’orologio ha lanciato l’ultimo bis del concerto di Lorenzo Monguzzi, il bel debutto del nuovo tour “Song n.14”. Una canzone senza perdere troppo tempo, che a mezzanotte scatta il silenzio. Quando non ci sono deroghe al limite orario e acustico, come nel caso dei superconcerti allo stadio San Siro.

A Torino il consiglio comunale la settimana scorsa ha convocato una seduta straordinaria per votare l’eccezione al “Regolamento comunale per la tutela dall’inquinamento acustico”: una delibera per superare il limite di 80 decibel e mandare in scena i Muse allo stadio Olimpico per due sere. Due strappi alla regola dopo i quattro già concessi a Vasco Rossi e un altro richiesto da Lorenzo Jovanotti (per il 16 luglio).

Italia, anno 2013. Dove la musica dal vivo deve prima trovare un palcoscenico e poi, all’aperto o al chiuso, deve stare attenta a non disturbare il sacrosanto riposo di chi vive intorno al luogo del concerto. Luogo, tempo, volume. Mica facile, anche perché poi su tutto ci sono i costi.

I luoghi, per cominciare, sono sempre meno: Milano ha perso locali storici per la musica live (un esempio su tutti “La casa 139” di via Ripamonti diventata appunto un’abitazione in affitto), Torino si è vista lucchettare i Murazzi. Ma arriverà l’estate e torneranno i festival e le arene estive. Mica facile, si diceva, perché c’è la crisi e allora addio ai nomi internazionali dell’Heineken Jammin’ Festival, a Rock in IdRho, all’A perfect day Festival. E chi invece c’è, resiste. Luoghi, tempo, volume, costi. Nel 2013.

Ma non erano ancora iniziati gli anni 2000 quando Francesco Guccini in concerto al Palatrussardi di Milano (o già PalaVobis?) scherzava sulla necessità di non sforare per non dare fastidio alle sorelle, nel senso delle suore, che vivevano nel convento vicino alla tensostruttura di Lampugnano.

Un problema che arriva da lontano, reso più pesante oggi da una concomitanza di fattori (i costi, i limiti d’orario, i decibel). Ed ecco, nei giorni scorsi, la lettera aperta dell’ex assessore alla cultura milanese Stefano Boeri al ministro Massimo Bray: un invito a pensare a una legge per rendere più facile la musica dal vivo. E una petizione online (che 15mila persone hanno firmato qui) perché “la musica non è mai solo tempo libero e intrattenimento, ma una corrente che accende la vita degli spazi in cui scorre” e perché “la musica è in altre parole una parte fondamentale della nostra economia”.

Ecco la lettera.

“Gentile Ministro Bray,

i Rolling Stones, gli Who, gli U2, ma anche i Beatles (nel mitico Cavern di Liverpool) hanno cominciato a suonare nei pub e nei locali dal vivo, per qualche decina di ascoltatore sparso tra i tavoli o in piedi con una birra in mano.

La musica, come ben sappiamo, non è un prodotto preconfezionato.

Nasce in situazioni imprevedibili – un incontro casuale sui banchi di una scuola davanti a una pizza, sulla rete – e cresce in luoghi spesso occasionali: uno scantinato, un garage, una soffitta. Ma subito cerca, come l’ossigeno, un pubblico e uno spazio per mettersi in scena, magari davanti a pochi amici o parenti durante una festa, un matrimonio, una serata in un locale.

Aiutare la musica a crescere, significa offrire a migliaia di giovani donne e uomini la possibilità di suonare in pubblico e dal vivo.

Offrire loro spazi da cui possano sprigionare la loro linfa vitale. Sapendo che l’investimento in musica moltiplica i valori iniziali; perché la musica non è mai solo tempo libero e intrattenimento, ma una corrente che accende la vita degli spazi in cui scorre, produce lavoro, attira pubblico, incentiva il turismo e alimenta la creatività.

La musica è in altre parole una parte fondamentale della nostra economia; con un indotto esteso e articolato, che non riguarda solo chi fa parte della filiera (gestori, producer, autori, promoter, discografici, editori, artisti…), ma coinvolge e beneficia chi la musica la ospita, la promuove, la pubblicizza.

Eppure oggi in Italia fare musica dal vivo è sempre più difficile. Un groviglio di permessi, licenze, autorizzazioni rende oneroso e complicato organizzare momenti di ascolto live : sia per chi la musica la fa che per chi la ospita.

Io credo, gentile Ministro, che una legge italiana sulla musica dal vivo sia oggi cruciale.

Una legge che, in accordo con la SIAE e l’ex ENPALS (due oneri fissi per qualsiasi pubblico spettacolo) annulli le procedure burocratiche e i permessi per i locali –di qualsiasi tipo- che ospitano chi si esibisce dal vivo.

Ci serve una normativa che stabilisca delle regole ragionevoli, come l’autocertificazione in rete degli spettacoli, una soglia massima di spettatori, orari condivisi per la musica su tutto il territorio nazionale; regole valide per tutti: gestori, artisti, fruitori, residenti.

Anche perchè una legge siffatta saprebbe affrontare nel modo più efficace i disagi prodotti dai fenomeni della cosiddetta “Movida”.

Moltiplicando nelle città italiane l’offerta di spazi dove si suona dal vivo (musica classica, rock, indie, jazz, blues, folk..) si diluirebbe infatti quella esacerbata concentrazione di folla attorno ai pochissimi locali in cui si può fare e ascoltare musica anche in ore serali. Per parlare solo di Milano, in pochi anni abbiamo perso il Derby, il Capolinea, La casa 139, luoghi che hanno ospitato dal vivo le sonorità di artisti diversi e straordinari come Jannacci, Chet Baker e gli Afterhours.

In Inghilterra dallo scorso ottobre è in vigore una legge, la “Live Music Act”, che liberalizza e gli eventi di musica dal vivo con meno di 200 spettatori entro le ore 23 – e che incentiva le formazioni che si esibiscono “in acustico”.

Una legge che ha già cambiato il panorama musicale delle città inglesi e che ha avuto nel nostro Paese una fortissima eco mediatica.

Un Ministro che ha presieduto per anni uno dei più straordinari eventi di musica dal vivo europei –la Notte della Taranta di Melpignano- può meglio di chiunque altro capire come una legge italiana sulla musica dal vivo sarebbe davvero, un “decreto del fare”.

Grazie dell’attenzione,

Stefano Boeri

Architetto, ex assessore alla Cultura del Comune di Milano”