Il mistero delle mani insanguinate«Errore giudiziario contro Pullano»

«L'assassino rovistò in un cassetto con le mani insanguinate, ma non c'è la minima traccia di materiale genetico riconducibile al mio assistito». Parla di «errore giudiziario» l'avvocato di Daniele Pullano, che ha presentato ricorso.
Il mistero delle mani insanguinate«Errore giudiziario contro Pullano»

Monza – «Un errore giudiziario». Non usa mezzi termini, come del resto già aveva fatto la madre dell’imputato alla pronuncia della sentenza, l’avvocato di Daniele Pullano, Franz Sarno, che ha presentato ricorso in appello contro la condanna a 23 anni di reclusione per omicidio volontario inflitta al suo cliente dalla Corte di Assise di Monza.

«La corte – scrive nel ricorso – è stata fuorviata nel giudizio dal preconcetto, non è partita dalla presunzione di innocenza dell’imputato, come prevede la legge, ma dalla presunzine della sua colpevolezza». Pullano, 21 anni, monzese, è accusato di aver ucciso il 6 giugno 2010 a colpi di ferro da stiro in testa dopo una coltellata alla gola, Rita Bestetti, pensionata di Monza di 66 anni.

L’accusa aveva chiesto l’ergastolo e 2 mesi di isolamento diurno per la premeditazione e i futili motivi perché dietro l’efferato omicidio ci sarebbe stata una questione di droga: Pullano sarebbe stato il pusher del figlio minore della Bestetti, la quale, scoperto cosa accadeva, l’avrebbe minacciato di raccontare tutto ai genitori. Di qui la reazione omicida di Pullano.

Secondo Sarno, che chiede alla Corte di Assise d’Appello di Milano di annullare la sentenza e rifare il dibattimento: «senza un motivo logico sono state rigettate quasi tutte le richieste della difesa di effettuare accertamenti tecnici con rilevamento delle impronte digitali e tracce del dna sulle manopole del gas che l’assassino aveva aperto nel tentativo di far esplodere la casa e sui mozziconi di sigarette rinvenuti nella casa e sui capelli presenti sul cadavere non appartenenti a Pullano».

Il legale punta poi sulla mancanza di materiale genetico di Pullano in un cassetto rovistato dall’assassino con le mani sporche di sangue e sul ferro da stiro, l’arma del delitto. La condanna è basata su una impronta di Pullano sulla maniglia della porta d’ingresso, una traccia di dna compatibile con il suo ceppo familiare sul coltello e su alcune contraddizioni riscontrate durante gli interrogatori.

Troppo poco secondo Sarno visto che Pullano ha ammesso di essere stato nella casa, ma a delitto già avvenuto e di essere quindi fuggito per paura: «Le contraddizioni durante gli interrogatori – dice l’avvocato – sono il frutto dell’emozione della paura di chi si trova, suo malgrado, in una scena del crimine nella consapevolezza di essere un soggetto sospettabile perché vive nell’illecito, un illecito legato al consumo e alla cessione di stupefacenti».
r.mag.